mercoledì 1 marzo 2017

«Che cosa "tagliare", perché l’organismo della nostra vita di comunità, della nostra Chiesa particolare, della nostra testimonianza, rifulgano pienamente di luce e vigore evangelici?». La domanda della Chiesa di Assisi ai frati del Sacro Convento riuniti nel Capitolo Custodiale Ordinario 2017




Dal 20 al 24 febbraio 2017 si è svolta, presso il Sacro Convento di Assisi, la prima parte del Capitolo Ordinario della Custodia Generale del Sacro Convento, la circoscrizione dell'Ordine dei Frati Minori Conventuali a cui è affidata appunto la custodia della Basilica in cui il 25 maggio 1230 fu sepolto il corpo del fondatore dell'Ordine stesso, il serafico patriarca san Francesco.
La celebrazione eucaristica di giovedì 23, memoria del vescovo e martire san Policarpo, è stata presieduta da S.E. Mons. Domenico Sorrentino, arcivescovo-vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, presso l'altare della chiesa inferiore eretta sulla tomba del Poverello.
Commentando la liturgia della Parola del giorno (Sir 5, 1-10; Mc 9, 41-50), il Presule ha rivolto ai presenti le seguenti parole:
Tenerezza e custodia. Saggezza e prudenza. Espressione di fiducia e monito severo. Sono accenti che si alternano e intrecciano in questi due brani della parola di Dio in cui predomina, con toni forti e concreti,  il registro sapienziale. Un registro di cui abbiamo bisogno, per apprendere la logica della divina sapienza e applicarla alla nostra vita.
Proviamo ad entrare nel messaggio della prima lettura.
Intercetta la nostra tentazione di fidarci di noi stessi, quando le cose vanno bene secondo i criteri mondani, dimenticando che tutto sta, ogni momento, sotto lo sguardo di Dio. «Non confidare nelle tue ricchezze e non dire: «Basto a me stesso».È la tentazione di chi possiede e si sente sicuro perché il suo denaro, le sue conoscenze, il suo saper fare, il suo successo, gli garantiscono il futuro.
Può persino capitare, quando tutto nella vita fila liscio, di perdere il senso del giudizio di Dio, scambiando per assenza e debolezza di Dio quella che è invece la sua pazienza misericordiosa.
«Non dire: “La sua compassione è grande;mi perdonerà i molti peccati”,perché presso di lui c’è misericordia e ira»
Ascoltare queste parole dopo un anno intero voluto da papa Francesco per farci ricordare che Dio è misericordia, ha quasi, a prima vista, il sapore di un passo indietro.È invece un passo nella verità, da prendere sul serio. È prendere coscienza della nostra responsabilità, che viene esaltata dal giudizio di Dio al quale non possiamo sottrarci. Esso temporeggia, ma verrà. Anzi, per dirla tutta, alla luce del vangelo,  è già venuto nella morte di Cristo, alla quale siamo chiamati a conformarci.
Questo messaggio, in definitiva, letto nella pienezza del Nuovo Testamento, mira a farci prendere coscienza proprio di ciò che costituisce il senso della vita cristiana: abbiamo accettato, e sempre nuovamente accettiamo, il giudizio misericordioso di Dio sulla nostra vita, ripetendo con Paolo, e certamente anche con Francesco alter Christus: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Nella croce di Cristo Dio giudica il nostro peccato. Se ci allontaniamo da lui, diventiamo schiavi del peccato. L’ira di Dio, in ultima analisi, non è la giustizia esteriore che ci viene da un Dio vendicativo, ma il suo arrendersi, terribilmente rispettoso, alla nostra libertà, quando ci collochiamo, volontariamente e per sempre, nella tomba del nostro peccato. Quella geenna “dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” evocata dalle parole di Gesù è appunto la condizione ultima di irrimediabilità a cui ci espone il nostro indurimento, se resistiamo ostinatamente all’offerta della grazia. 
Anche il vangelo dunque si muove, non meno della prima lettura, sul registro dell’ammonizione. Questa volta a parlarci è il Dio che si è fatto vicino nel volto del figlio. Il discorso riguarda i “piccoli” di Gesù. In sostanza, tutti i suoi discepoli, perché non si può essere discepoli, veri discepoli, senza essere piccoli.Nei confronti  dei suoi piccoli, Gesù esprime innanzitutto un senso di tenerezza e di custodia. Viene fatta una promessa: chi darà anche un bicchiere di acqua a un discepolo, per la sua appartenenza a Cristo, non perderà la sua ricompensa. Ma viene subito l’altra faccia della tenerezza: la fortezza della custodia, che si esprime in ammonizione e minaccia. Guai a chi “scandalizza” uno dei discepoli: meglio per lui essere affondato nel mare con una macina di mulino al collo. 
Dalla prospettiva della custodia dei discepoli, rispetto a un mondo ostile e aggressivo, il discorso si fa più generale, orientamento valido anche all’interno del mondo dei discepoli e del loro reciproco rapporto, quando si tratta di edificare e non scandalizzare,   e quando si tratta di fare  scelte esigenti, che possono costare anche il martirio.
Si spiegano così queste affermazioni paradossali e quasi da brivido, rivolte appunto ai discepoli, alla Chiesa: taglia la mano che ti è di scandalo. Taglia il piede che ti porta su una strada rovinosa. Cava l’occhio che si chiude alla luce e ti fa inciampare.
Ammonizioni di tale severità sono innanzitutto utili alla nostra vita personale. Ci spingono, quanto meno, a prendere le precauzioni necessarie per tenerci lontano dal peccato. Ma le possiamo applicare anche alla nostra vita di comunità, alle nostre istituzioni, alle nostre prassi consolidate, delle quali diventiamo tante volte succubi, perdendo la libertà evangelica, magari con le migliori intenzioni di dialogo, di cultura, persino di malintesa efficacia apostolica.   
Siete in capitolo: preghiera, riflessioni, decisioni. Un momento importante sul quale invocare la benedizione del Signore. Un capitolo fatto nei luoghi dove riposa san Francesco è sempre un evento importante non solo nell’interesse della vostra famiglia religiosa, ma anche della nostra Chiesa di Assisi, madre di Francesco, come della Chiesa universale. La vostra santità, la vostra testimonianza, la vostra integrità di figli di figli del Poverello hanno un interesse che  va ben oltre i confini della vostra comunità. Per questo mi auguro un capitolo che si lasci interrogare sinceramente, direi spietatamente, da questi moniti di Gesù. C’è forse anche tra di voi, come tra tutti noi, qualcosa da tagliare, perché tutto il corpo possa essere più sano, più bello, più scattante, per l’annuncio del Regno di Dio?
Siamo in tempo di crisi e di rinnovamento. Il nostro Sinodo diocesano, che riconsegno alla vostra assimilazione cordiale, ne ha parlato in termini realistici e programmatici. Anche voi ci siete inevitabilmente dentro e non potete tirarvi fuori. A tutti noi è richiesta una nuova capacità di sintonizzare a pieno la nostra vita e le nostre istituzioni con il vangelo. Quello che fu l’anelito di Francesco, l’eredità ideale che lasciò ai suoi frati. Il suo “spogliarsi” fino alla nudità, realizzato, come gesto profetico e programmatico, all’inizio del cammino, nel  vescovado, e alla fine, in morte, alla Porziuncola. Un’immagine che è la cifra di tutta la sua vita. Anche per questo, come sapete, ho voluto rimettere in luce quel gesto  creandogli una nuova cassa di risonanza nel Santuario della Spogliazione. 
Su quel corpo spoglio proprio qui, nelle nostre Basiliche, la storia e la fede hanno creato un involucro grandioso, patrimonio culturale e spirituale da mettere in gioco nell’evangelizzazione. Ma dobbiamo essere vigili perché questo rivestimento prezioso di  un corpo santo, che rimane nudo,  sia   solo la cassa di risonanza di una nudità alla quale voi suoi figli,  chiamati a custodire questo luogo, e noi tutti, voi e noi, Chiesa di Assisi, dobbiamo sempre ritornare, chiedendoci se per caso non abbiamo bisogno di riascoltare il monito di Gesù: che cosa “tagliare”, perché l’organismo della nostra vita di comunità, della nostra Chiesa particolare, della nostra testimonianza, rifulgano pienamente di luce e vigore evangelici?   È una domanda che lascio come ideale consegna della nostra Chiesa di Assisi al vostro capitolo fraterno.Il vangelo si chiude con il simbolo del sale, che altrove troviamo specificato con l’appello ad essere sale della terra, in prospettiva dunque missionaria. Qui mi sembra più focalizzato sulla stessa vita ecclesiale, quale espressione del bisogno di conservare integra e saporosa la nostra  vita di discepoli,  centrandola su Gesù e conducendola nella pace. Rileggiamo ancora questo appello: «Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen. 

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