martedì 4 ottobre 2016

"Insieme abbiamo fiducia!". Il messaggio del Custode del Sacro Convento di Assisi per la Festa di san Francesco 2016


In occasione della solennità di San Francesco patrono d'Italia, questa mattina, al termina della solenne liturgia in cui la gente del Piemonte, a nome dell'intera nazionale, ha riacceso la lampada votiva che arde presso la tomba del Poverello, il Custode del Sacro Convento di Assisi fr. Mauro Gambetti ha rivolto il seguente messaggio:
Eminenza, Eccellenze, autorità civili e militari, cittadini pellegrini dal Piemonte sono lieto di accogliervi in occasione della Solennità di San Francesco patrono d’Italia. Il Piemonte, la Regione più occidentale d’Italia, come dice il nome stesso è “ai piedi delle alte montagne”, quasi un bacino naturale di raccolta delle grandi acque che poi si irradiano lungo la pianura in una ricca rete fluviale. La geografia rispecchia, o forse ispira, la storia e la cultura della vostra Regione che, raggiunta nel ‘700 la propria autonomia ed unità, ha poi inciso profondamente nella costituzione dello Stato italiano. Oggi l’Italia geme – anche per evidenti contraddizioni che ci segnano ed affondano le loro radici nel Risorgimento – e si presenta incerta all’appuntamento con gli odierni cambiamenti epocali. Ma gli italiani sono fieri della propria appartenenza, non però da nazionalisti sprovveduti che alzano barricate, lo sono piuttosto con quel senso di realismo critico che la storia ha insegnato al nostro popolo. Se sapremo rinnovarci mantenendoci fedeli alla nostra tradizione civica, saremo un punto di riferimento per il mondo intero. In particolare, siamo riconoscenti al popolo piemontese per l’aspirazione a costruire uno Stato unitario e laico che ci ha trasmesso. La società è un fatto laico nella misura in cui approfondisce l’humanitas; lo Stato è unito nella misura in cui le persone che lo compongono si incontrano – senza eccezione di provenienza, estrazione sociale, credo religioso – si confrontano e si orientano secondo ideali intelligentemente fondati e condivisi. Per questo c’è bisogno di uscire definitivamente dal ring e smettere di pensare alla polis come ad un campo di battaglia. Non ci sono i comunisti, i conservatori, i liberali, i radicali, i cattolici, gli ebrei, i musulmani… Non ci sono nemici. Sul campo, nel mondo, ci sono innanzitutto gli uomini. E noi che siamo qui, insieme a quanti ci seguono da casa, ci stringiamo nel rendimento di grazie ed esprimiamo a nome del popolo italiano la reciproca accoglienza, una profonda unità e un rinnovato desiderio di radicare in Dio la vita. Insieme abbiamo fiducia! Il nostro popolo vuole avere fiducia in Dio, fiducia nel prossimo, fiducia nelle istituzioni! Nessuno tradisca la fiducia della gente.
Allora, preghiamo per l’Italia, in particolare per i fratelli colpiti dal terremoto mentre Papa Francesco è in visita presso di loro, e chiediamo a san Francesco di intercedere per tutti il dono di una coscienza illuminata e della pace!

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen. 

"Lavoriamo insieme affinché prevalga e si diffonda il Suo Regno sulla terra e la pace del mondo intero". Così Bartolomeo di Costantinopoli ai frati del Sacro Convento il 20 settembre 2016


In occasione della visita in Assisi del 20 settembre 2016, giornata conclusiva dell'incontro internazionale "SETE DI PACE: religioni e culture in dialogo" organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Diocesi e dalle Famiglie Francescane della Città Serafica, anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha firmato (in lingua greca) il libro degli ospiti del Sacro Convento lasciando il seguente messaggio:


(Uniti nella preghiera e nell’amore del Signore, lavoriamo insieme affinché prevalga e si diffonda il Suo Regno sulla terra e la pace del mondo intero. Ringraziamo i Fratelli, figli di Francesco, il poverello di Dio, per il loro amore e la loro ospitalità.Fervente intercessore presso Dio)

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

domenica 2 ottobre 2016

Nono giorno della "Novena di san Francesco 2016" nella Basilica di Assisi: Le opere di Misericordia: Prendersi cura di se stessi

Basilica Papale di San Francesco in Assisi
Frati Minori Conventuali

Novena in preparazione alla festa del Padre Serafico

MISERICORDIOSI COME IL PADRE
LE OPERE DI MISERICORDIA

predicazione di p. Gianni Cappelletto, OFMConv.

Nono giorno: domenica 2 ottobre 2016

Prendersi cura di se stessi


Lodovico Cigoli, San Francesco, part. (1597-1599)
San Pietroburgo, Museo statale Ermitage

«C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri. Ma questo presuppone l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in famiglia cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà uno spazio di tensione permanente e di reciproco castigo» (AL 107-108).

Guido Reni, San Francesco in estasi (XVII sec.)
Quando gliene ho accennato, un mio confratello mi ha detto che sono un po’ suonato e del tutto “fuori norma”. Sì, perché io sono convinto che una delle “opere di misericordia” che tiene presente il corporale e lo spirituale sia il prendersi cura di se stessi. Non in senso narcisistico del “basta che stia bene io” e “degli altri non mi interessa niente”, ma nel senso di quanto afferma uno psicologo statunitense con quell’espressione: “I'm ok – you are ok; I'm not ok – you are not ok”. Se io sto bene con me stesso (e non solo “per” me stesso) creo un ambiente in cui anche l’altro-da-me – ma accanto-a-me – può star bene e crescere; ma se io non sto bene con me stesso (a livello fisico, psichico e spirituale) favorisco un clima triste e tenebroso in cui l’altro si troverà male e da cui tenterà di scappare.
Ecco perché trovo non solo pertinenti quanto anche affascinanti – perché autentico itinerario di crescita umana e cristiana – le indicazioni che papa Francesco offre nella sua Esortazione apostolica Amoris laetitia (nn 107-108) riportate sopra.
Alla base di ogni percorso di maturazione nella fede c’è – afferma il Papa – «l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola». 
El Greco, San Francisco en extasis (1577-1578)
Madrid, Museo Lázaro Galdiano
Se – come ha scritto lo stesso papa Francesco – misericordia è la responsabilità di Dio nel prendersi cura di ognuno di noi, allora suo compito è quello di offrirci sempre nuove opportunità per ricominciare, per riprendere il cammino. Dio – afferma una teologa protestante italiana (Lidia Maggi) – è “il grande Ricominciatore”, per cui misericordia - in Lui - è la sua infinita pazienza di farci ricominciare. E questo perché la prima e fondamentale sua parola sulla nostra esistenza è: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cf Ez 33,11). E questa è pure la sua parola ultima dopo ogni nostro fallimento, dopo ogni nostro passo falso, dopo ogni nostro peccato: ci fa rialzare e ci rimette in cammino. Per quante volte? Fino a settanta volte sette!
È questa la nostra salvezza! Ma è anche il nostro impegno. E pure verso di noi e non solo verso gli altri. Diventare misericordiosi come il Padre (cf Lc 6,38) significa, pertanto, prenderci cura di noi stessi in modo tale da rialzarci dopo ogni caduta, di ricominciare dopo ogni fallimento, di convertirci dopo ogni peccato, e – come scrive papa Francesco nell’Esortazione citata – accettare se stessi senza condannarci, saper convivere con i propri limiti senza scaricare la colpa sugli altri o sul destino, perdonarci come il Signore ci perdona, pregare con la nostra storia – gioiosa o faticosa che sia. 
E mi sembra che pure in quest’opera di misericordia del prenderci cura di noi stessi e del nostro personale cammino di crescita umana e di maturazione spirituale, Francesco d’Assisi ci sia “padre e maestro”. Solo qualche richiamo, senza voler essere completo.  

Girolamo Chignoli, San Francesco (1640 ca)
Varese, Museo Baroffio e del Santuario del Sacro Monte sopra Varese
Un primo richiamo è “riconciliarci con le proprie sconfitte”. Mi riferisco ad alcune sottolineature che fa in proposito padre Dino Dozzi nel numero di giugno-luglio del “Missionario Cappuccino” (2016/4).     
La prima sconfitta con cui il giovane Francesco ha dovuto fare i conti è l’aver dovuto rinunciare ai suoi sogni di gloria diventando cavaliere: dentro a questa sconfitta ascolterà la parola del Crocifisso di S. Damiano che lo rilancia nella vita con un progetto che inizia a realizzare usando misericordia con i lebbrosi.
La seconda sconfitta, verso la fine della vita, quando Francesco vive la “grande tentazione” di mollare tutto mandando a quel paese quei suoi Frati che si stanno orientando su strade diverse rispetto a quelle da lui indicate. L’esperienza vissuta sulla Verna, con il Crocifisso glorioso, gli fa capire che la “vera letizia” è usare ancora misericordia con i fratelli, accettarli come sono senza pretendere «che siano migliori» di come sono (FF 234). Stare ancora in mezzo a loro con l’esortazione: “Ri-cominciamo, fratelli” e con un atto di autentica espropriazione in quell’espressione: «Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239). Completamente riconciliato in se stesso, Francesco si espropria anche di quella pianticella nata da lui e la riconsegna a Colui che gliela aveva donata – come riconosce nel Testamento quando scrive: «Il Signore mi dette dei fratelli» (FF 116).
Davvero, come afferma il Vangelo di questa Domenica (Lc 17,5-10), Francesco si ritiene “servo inutile”, cioè non indispensabile e può ritirarsi dalla scena contento per aver dato il meglio di sé, come richiesto dal suo Signore. Ma sappiamo che non ha rinunciato a custodire il “bene prezioso” che gli era stato affidato e a ravvivare il dono ricevuto – sulla scia di quanto l’apostolo Paolo raccomanda al discepolo Timoteo nella seconda lettura di questa 27a domenica del Tempo Ordinario – anno C.  

Un altro richiamo in cui – secondo me – san Francesco vive l’opera di misericordia del “prendersi cura di se stesso” è il momento della morte, quel “transito” che richiameremo alla memoria con la celebrazione di domani sera – qui ove è custodito il suo corpo mortale o a Santa Maria degli Angeli ove è avvenuto il fatto, la sera del 3 ottobre 1226, di sabato. Qualche sottolineatura spulciando qua e là nelle Fonti Francescane:  
Orazio Gentileschi, San Francesco sorretto da un angelo (1612-1613)
Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica
  • nel suo stile penitenziale vissuto secondo la spiritualità del suo tempo, Francesco «era durissimo con il suo corpo e quasi mai lo trattò con riguardo. Tanto che, arrivato il giorno della morte, confessò di aver molto peccato contro il suo fratello corpo» (FF 1412);  
  • prima di morire, Francesco invia un frate da donna Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana che gli voleva davvero bene (FF 860), per dirle che si affretti a venire a Santa Maria portando con sé – oltre a del panno grezzo per confezionare una tonaca – «un po’ di quel dolce che era solita confezionarmi quando soggiornavo a Roma» - afferma Francesco. E la Legenda perugina commenta: «Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti» (FF 1657);  
  • ancora, sempre in punto di morte: «Mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, [Francesco] si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati» (FF 808);  
  • infine: frate Francesco, «sentendo che l’ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti (frate Leone e frate Angelo), perché a piena voce cantassero le lodi al Signore (il Cantico delle creature) con animo gioioso per l’approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di David: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal 141,1)» (FF 509).  
Tutti gesti, quelli richiamati, con i quali Francesco morente si prende cura di sé, del suo stesso morire, e pure di quanto stanno vivendo i frati che lo stavano assistendo e accompagnando all’ultimo transito.  

Guido Cagnacci, San Francesco in preghiera (1640-1642)
Cremona, Museo Civico
Francesco “ha fatto la sua parte” fino in fondo, raggiungendo la “gloria del Signore Risorto” nella pienezza della vita. A noi chiedere a Cristo che “ci insegni” a fare la nostra parte nell’essere conformi a Lui (cf FF 1239), lasciandoci educare ogni giorno ad andare a quell’essenziale che è l’amore misericordioso del Padre per poterci riconciliare con i nostri fallimenti, risorgere dalle nostre cadute, convertirci dai nostri peccati e prenderci cura in modo sano e maturante di noi stessi. All’interno di tale esperienza rinnovata nell’ascolto della sua Parola e con la forza della sua presenza nell’Eucaristia e nel sacramento della Riconciliazione, possiamo non solo pregare con la nostra storia perché autentica “storia della salvezza” operata da Dio quanto anche accettare la nostra umanità con i suoi pregi e i suoi limiti e perdonarci perché lui ci perdona. Infatti, “eterna è la sua misericordia”! Amen!!



Preghiera di Papa Francesco 
per il Giubileo della Misericordia 

Signore Gesù Cristo, 
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, 
e ci hai detto che chi vede te vede Lui. 
Mostraci il tuo volto e saremo salvi. 
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; 
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; 
fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. 
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: 
Se tu conoscessi il dono di Dio! 
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, 
del Dio che manifesta la sua onnipotenza 
soprattutto con il perdono e la misericordia: 
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, 
suo Signore, risorto e nella gloria. 
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza 
per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: 
fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione 
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore 
e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo 
possa portare ai poveri il lieto messaggio 
proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà 
e ai ciechi restituire la vista. 

Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia 
a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo 
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

* * *


Salve, Sancte Pater, patriae lux, forma Minorum. 
Virtutis speculum, recti via, regula morum: 
Carnis ab exilio duc nos ad regna polorum. 

(Salve, Padre santo, luce della patria, modello per i Frati Minori. Specchio di virtù, via verso ciò che è retto, regola di vita. Dall'esilio della carne, conducici al regno dei cieli).


Dio onnipotente 
tu hai chiamato Francesco nella via povera e umile 
a rassomiglianza di Gesù crocifisso: 
concedi a noi di seguire il suo esempio 
nella libertà dei figli di Dio 
nella gioia dei cuori semplici 
nello stupore per le tue creature. 
Per Cristo nostro Signore. 


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

sabato 1 ottobre 2016

Ottavo giorno della "Novena di san Francesco 2016" nella Basilica di Assisi: Le opere di Misericordia: Prendersi cura della casa comune

Basilica Papale di San Francesco in Assisi
Frati Minori Conventuali

Novena in preparazione alla festa del Padre Serafico

MISERICORDIOSI COME IL PADRE
LE OPERE DI MISERICORDIA

predicazione di p. Gianni Cappelletto, OFMConv.

Ottavo giorno: sabato 1° ottobre 2016

Prendersi cura delle casa comune

«Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (LS 1).    
Sette sono le opere di misericordia corporale e sette quelle spirituali ricevute dalla tradizione. Ma poiché la “fantasia della carità” non conosce confini matematici, oggi possiamo aggiungerne altre due che ci invitano a prenderci cura – con lo “stile del buon samaritano” – di quella che papa Francesco chiama “la casa comune”: non è solo il mondo esterno a noi (il creato o la natura), quanto anche chi vi abita dentro, cioè l’insieme dell’umanità che ci vive con stili e prospettive diverse, a seconda della cultura e dell’espressione religiosa.   

Così, nell’ambito delle “opere di misericordia spirituale” possiamo collocare quello che è conosciuto oggi come “lo spirito di Assisi” di cui nei giorni scorsi (18-20 settembre) si è fatto memoria dei suoi 30 anni di vita, anche con la presenza di papa Francesco. Il 26 ottobre 1986, infatti, il papa san Giovanni Paolo II, aveva dato appuntamento qui in Assisi ai rappresentanti di tutte le espressioni religiose presenti nel mondo per pregare per la pace e perché le religioni si pensassero all’interno dell’umanità come strumenti di pace, di riconciliazione e di dialogo e non di divisione o – peggio ancora – di contrapposizione e di odio. La violenza e il terrorismo che da un decennio insanguinano – spesso nel nome di Dio – il Vicino Medio Oriente e pure le contrade europee, non dovrebbero indurci a ritenere inutile il dialogo e la preghiera, ma a incrementarla nella fiducia nel Dio «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (cf Es 34,5-9), volto comune di quel Creatore Onnipotente in cui credono pure ebrei e musulmani. Di questo Dio, per noi cristiani, Gesù Cristo è il volto incarnato e di Lui – senz’altro per chi si riconosce nei valori francescani – il Poverello d’Assisi è testimone e ispiratore intelligente, coraggioso e tenace.     

Ma con una precisazione fatta da papa Francesco durante l’omelia tenuta nella Piazza Inferiore quando è giunto per la prima volta pellegrino in Assisi (4 ottobre 2013):  
«Quale è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. È la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro (cfr Gv 20,19.20). La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! [Anche questo non è francescano,] ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore. Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci ad essere “strumenti della pace”, della pace che ha la sua sorgente in Dio, la pace che ci ha portato il Signore Gesù».
Nell’ambito delle “opere di misericordia corporale” – ma che richiede una profonda e convinta spiritualità – possiamo collocare la proposta di “ecologia integrale” suggerita da papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì’” che già nel titolo è un chiaro riconoscimento alla spiritualità e allo stile del Poverello d’Assisi. Un riconoscimento che il papa “venuto da molto lontano” aveva fatto con queste parole nel suo già ricordato pellegrinaggio:   
«Il Santo d’Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo; aiutarlo a crescere, a essere più bello e più simile a quello che Dio ha creato. E soprattutto san Francesco testimonia il rispetto per tutto, testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio - il Creatore - lo ha voluto. Non strumento degli idoli che noi creiamo! L’armonia e la pace! Francesco è stato uomo di armonia, uomo di pace. Da questa Città della Pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’amore: rispettiamo la creazione, non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione. Sentiamo il grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa, tanto amata da san Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, in tutto il mondo. Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: ottienici da Dio il dono che in questo nostro mondo ci sia armonia, pace e rispetto per il Creato!».  
Armonia, pace e rispetto per il Creato, per tutte le creature e per ogni singola persona umana è quell’ecologia integrale di cui parla la Laudato si’, perché “tutto è connesso”: la “casa comune” di cui prendersi cura riguarda non solo le pareti esterne (il giardino, i muti, il tetto, gli animali e gli insetti che la frequentano) quanto anche chi vi abita dentro: ogni persona ha diritto di avere un proprio posto e di essere rispettata in essa e non sfruttata o confinata in un cantuccio. Si tratta, cioè, di vigilare sul “come” si abita nella “casa comune”, cioè su quelli che oggi sono denominati “gli stili di vita”. L’ecologia integrale è, pertanto, al tempo stesso ambientale, umana e sociale. Come ci insegna San Francesco nel quale «si riscontra – afferma papa Bergoglio – fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (LS 10). «Degrado della natura, dell’uomo e della società sono tra loro intimamente connessi e richiedono una lettura non settoriale, e quindi limitata, della realtà» (Sartorio, 58). 

E come chi abita una casa la tiene in ordine e la ristruttura pensando anche a chi la erediterà, così è necessario prenderci cura del futuro degli altri: chi verrà dopo di noi, per esempio in questa Basilica, cosa troverà? Sarà riconoscente perché gliela abbiamo consegnata pulita, in ordine, preservata nella sua struttura architettonica e nei cicli pittorici, ancora affascinante … o ci lancerà qualche rimprovero o qualche maledizione perché l’abbiamo solo usata e sfruttata per noi? Certo, la abiterà con un suo stile e con un suo progetto, ma saprà a sua volta pure lui curarla se noi gli trasmettiamo questo gusto.     
Prendersi cura della casa comune è, pertanto, anche un problema di educazione, di formazione delle coscienze, di orientamento delle intelligenze, di armonia delle volontà. In poche parole, un problema di costruire fraternità con orizzonti lungimiranti e non con occhi che curano una sola mattonella del pavimento – la propria!  

Infine, ci ricorda papa Francesco, il Poverello d’Assisi ci insegna anche un altro linguaggio che trascende quello delle scienze esatte e della biologia e che ci collega con l’essenza dell’umano: il linguaggio del canto e della lode che sa riconoscere nella bontà di Dio il fondamento e l’origine di ogni creatura che per questo diventa “sorella” o “fratello”. Così continua papa Bergoglio:  
«Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, “considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella”. Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (LS 11).  
Concludo riformulando parte della preghiera suggerita da papa Francesco al termine dell’enciclica Laudato si’ (cf. n. 246):  

Dio onnipotente, che sei presente in tutto l’universo 
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tenerezza tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza del creato.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e come sorelle
nella casa comune che abbiamo ricevuto in eredità dalla tua bontà
e dalla sapienza lungimirante dei nostri padri
senza nuocere a nessuno, 
neppure a chi viene dopo di noi.  

Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per intercessione di san Francesco,  
nella lotta per la giustizia, l’amore e la pace.
Amen.    


Cantico delle creature
Testo di san Francesco d'Assisi; Musica di Marco Frisina

* * *


Salve, Sancte Pater, patriae lux, forma Minorum. 
Virtutis speculum, recti via, regula morum: 
Carnis ab exilio duc nos ad regna polorum. 

(Salve, Padre santo, luce della patria, modello per i Frati Minori. Specchio di virtù, via verso ciò che è retto, regola di vita. Dall'esilio della carne, conducici al regno dei cieli).

Dio onnipotente 
tu hai chiamato Francesco nella via povera e umile 
a rassomiglianza di Gesù crocifisso: 
concedi a noi di seguire il suo esempio 
nella libertà dei figli di Dio 
nella gioia dei cuori semplici 
nello stupore per le tue creature. 
Per Cristo nostro Signore. 


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

«Ammiro ed invidio l’umiltà di san Francesco d’Assisi». Il Poverello nelle "memorie" di Santa Teresa di Lisieux che visitò Assisi il 24 novembre 1887

Nel giorno in cui la liturgia fa memoria di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (Alençon, 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897), canonizzata nel 1925, Dottore della Chiesa (1997), patrona dei missionari (1927) e di Francia (1944), piace pubblicare questo post di Andrea Vaona per bibbiafrancescana.org a cui si rimanda per la lettura integrale. 
Stupiscono nelle sue parole l'ammirazione e addirittura l'invidia per l'umiltà di san Francesco (Manoscritto "B", 251), ma del resto - come qualcuno ha detto - «il cristianesimo si comunica per invidia, è sempre stato così» (Julián Carrón, Solo il divino può "salvare" l'umano, in: «Può un uomo nascere di nuovo quando è vecchio?». Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione, Rimini 2010, p. 25). 


Giovedì 24 novembre 1887 una ragazzina francese di 14 anni è in visita ad Assisi. Accompagnata dai familiari.
Quattro giorni prima aveva avuto il privilegio di incontrare a Roma il papa, Leone XIII, nella speranza di ottenere il permesso di entrare in Carmelo prima dei canonici 18 anni. Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entrerà nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima).

Della visita ad Assisi ricorda nel suo diario (manoscritto “A”, n. 181):
«Dopo aver visitato i luoghi profumati dalle virtù di san Francesco e di santa Chiara, avevamo terminato con il monastero di sant’Agnese, sorella di santa Chiara…».
Chissà che sorpresa per Francesco e Chiara lì “dormienti” riconoscere tra la folla quel giglio di santità che sarebbe diventata Teresa Martin, oggi santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa. Chissà cose le hanno suggerito nel suo cuore le vicende di Francesco e Chiara, per arricchire un animo già infiammato nel carisma carmelitano…

Per san Francesco la giovane carmelitana sr. Thèrèse avrà sempre parole particolari di devozione. Come nel manoscritto “B” (n. 251) quando apre il suo cuore ad un desiderio “impossibile”...

... il resto puoi leggerlo qui


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

venerdì 30 settembre 2016

Settimo giorno della "Novena di san Francesco 2016" nella Basilica di Assisi: Le opere di Misericordia: Prendersi cura delle persone

Basilica Papale di San Francesco in Assisi
Frati Minori Conventuali

Novena in preparazione alla festa del Padre Serafico

MISERICORDIOSI COME IL PADRE
LE OPERE DI MISERICORDIA

predicazione di p. Gianni Cappelletto, OFMConv.

Settimo giorno: venerdì 30 settembre 2016

Prendersi cura delle persone

«È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti» (MV 15).    
Siamo entrati in questa Basilica varcando la “Porta Santa della Misericordia”, accompagnati da san Francesco che ci ha augurato: «Entra, e vedrai cose meravigliose!». 
Le meraviglie che abbiamo potuto contemplare in questi giorni della Novena sono state prima “i luoghi della misericordia” (oltre alla Porta, il Confessionale e l’Altare) e poi i volti che incarnano – con prospettive e colori diversi – il “Padre delle misericordie” (cf 2Cor 1, 3): Gesù, il Crocifisso Risorto; Maria, Madre di misericordia; alcuni Santi che hanno sperimentato e testimoniato la tenerezza misericordiosa di Dio (Maria Maddalena, Martino di Tours, Antonio di Padova).    

Roberto Joos, Francesco e il lebbroso (1982)
Ora per la stessa Porta Santa usciamo per cercare di essere – secondo le nostre possibilità – icone viventi di quanto abbiamo contemplato qui in Basilica, secondo la logica evangelica del “gratuitamente avete ricevuto misericordia e perdono – gratuitamente donate misericordia e perdono” e secondo la logica pasquale del chicco di grano che accetta di morire perché altri abbiano la vita … e questi “altri” sono tutte le persone escluse da una società che vive secondo la logica del “prendere e mangiare” per sé, la logica dell’accaparramento e del profitto che miete sempre nuove vittime, quali i poveri, i malati, i rifugiati, gli anziani abbandonati, i bambini sfruttati … tutte persone che vengono “scartate” perché improduttive.    
Illuminati dall’esempio di san Francesco, abbiamo sperimentato in vario modo la misericordia del nostro Dio; ora – da autentica “Chiesa in uscita” – diventiamo a nostra volta misericordiosi: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» è, infatti, il motto del Giubileo che stiamo vivendo.  

Per diventare misericordiosi come il Padre, siamo invitati a incarnare quello che papa Francesco chiama “lo spirito del buon samaritano”.    
Gino Covili, Il bacio al lebbroso (1992/93)
Infatti, quando l’8 dicembre dello scorso anno ha ufficialmente aperto l’anno giubilare, il Papa si è augurato che la Chiesa intera sappia andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo «facendo propria la misericordia del buon samaritano». Alla stessa parabola Francesco aveva fatto riferimento anche un mese prima parlando, a Firenze, alla Chiesa italiana riunita in Convegno, riconoscendo con gratitudine che «lo spirito del buon samaritano» ha dato volto concreto alla carità di tanti santi italiani, tra i quali primeggia san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e ispiratore di molte “opere di carità” a favore dei poveri e dei lebbrosi di ogni epoca.  
È lo stesso san Francesco, infatti, nel suo Testamento, a far riferimento proprio alla parabola del buon samaritano nel rileggere il suo primo vero incontro con i lebbrosi (FF 110). Sappiamo che molte volte li aveva evitati: come il sacerdote e il levita della parabola lucana, li vedeva sì, ma preso dalla paura e dal ribrezzo che gli suscitavano, passava oltre allontanandosi in fretta. Un giorno, però, spinto dalla grazia del Signore, ne incontrò uno nella piana di Assisi, verso Rivotorto: lo vide e finalmente “non passò oltre”: «gli usai misericordia» - commenta Francesco riecheggiando la risposta del maestro della legge che aveva chiesto a Gesù: “Chi è il mio prossimo?” (cf Lc 10, 25-37). E la misericordia messa in atto da Francesco è descritta dal suo primo biografo, il Celano, in questi termini: scese da cavallo, gli si accostò, gli baciò la mano infetta, gli diede un denaro (FF 592; 1034).

Piero Casentini, San Francesco e il lebbroso
Esperienza che ha radicalmente cambiato il giovane Francesco: «Quello che mi sembrava amaro – scrive nel Testamento – mi fu cambiato in dolcezza d’anima e di corpo». E di lì a poco scese verso il lebbrosario per aiutare chi – come lui – era stato toccato dalla compassione verso quelle persone, considerate gli scarti da tenere lontani. Il Poverello di Assisi ha avuto il coraggio – sull’esempio del buon samaritano – di permettere alla compassione presente in lui, di uscire allo scoperto … e si è ritrovato non “eroe per un giorno” quanto “per sempre” cristiano autentico. La compassione (o misericordia) di cui tutti siamo impastati non è un vago sentimento, non è un buonismo che ci affascina per un istante, ma è una scelta – uno stile di vita: quello del sentirci responsabili anche del bene degli altri oltre che del proprio, quello di non restare indifferenti né di scappare di fronte a chi – pure oggi – è bastonato a morte dai briganti che sono lasciati a piede libero anche dalla giustizia umana … ma di provare almeno a metterci nei loro panni: se succedesse a me di trovarmi “mezzo morto” e “abbandonato” sul ciglio della strada, cosa mi aspetterei da chi mi passa accanto? Fai agli altri – ci ammonisce Gesù – quello che desideri sia fatto a te in quella situazione (cf. Lc 6, 31).  

Sergio Albano, San Francesco bacia il lebbroso
È in nome di questa “regola d’oro” che molti – anche non cristiani o poco praticanti – si impegnano oggi con gesti di concreta carità a favore di persone “percosse a sangue” e abbandonate, “scartate”, direbbe papa Francesco. Segni concreti e belli di cui ringraziare il Signore perché ci confermano che l’indifferenza non regna sovrana: c’è ancora spazio nel cuore e nelle mani di molti per le “opere di misericordia corporale e spirituale”, gesti di bontà che rendono più umano il nostro vivere prendendosi cura di quella parte di umanità alla quale è rubato tutto – a cominciare dalla dignità di essere persone con un volto e un nome.    
Noi cristiani sperimentiamo ogni giorno la compassione che il Signore Gesù usa verso di noi: è Lui il nostro “buon samaritano”: vede le nostre ferite, non è preso dal panico né resta indifferente, ma vi versa continuamente «l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio comune VIII).
Se anche questa sera siamo qui è perché tutti – in vario modo – abbiamo sperimentato la vicinanza del Signore: ci ritroviamo sì tutti feriti nel corpo e nello spirito, ma siamo riconoscenti perché Lui – mediante la sua Parola e il suo Corpo e grazie a gesti di compassione da parte di altre persone – si fa nostro compagno di viaggio per curarci, sostenerci, infonderci fiducia e speranza con cui ci testimonia: “Tu mi stai a cuore!”. Da qui il nostro grazie si fa restituzione ad altri della bontà e compassione ricevuta.  
Cecilia Ravera Oneto, San Francesco e il lebbroso (part.)
Molto dipende da noi: possiamo, come il sacerdote e il levita della parabola, far morire in noi la compassione mettendoci sopra la pietra tombale della paura e dell’indifferenza … oppure possiamo – ispirati dal buon samaritano e sull’esempio di san Francesco – far spazio alla compassione aprendoci con umiltà e coraggio alla vita con gesti semplici e discreti che si prendono cura della vita mortalmente ferita “nel corpo e nello spirito” di chi ci vive accanto o incontriamo sul nostro cammino. Con l’attenzione che, nelle nostre opere l’oggetto specifico della misericordia è la stessa vita umana nella sua totalità. Per questo, quel che ci sta a cuore è l’umanizzazione delle persone e delle relazioni che si instaurano tra esse. L’aveva già segnalato Giovanni XXIII qualche giorno prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica. 


Norberto, Francesco e il lebbroso
Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che incominciamo a comprenderlo meglio … È giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di cogliere l’opportunità e di guadare lontano». Per vivere quanto indicato è necessario riscoprire il meglio della nostra umanità, cioè lasciar spazio alla compassione e alla tenerezza di cui siamo plasmati per «dilatare il nostro cuore alla misura del cuore stesso di quel Padre misericordioso rivelatoci dalle parole e dai gesti del Signore Gesù» (Semeraro, in: "Credere" del 17 luglio 2016, pp. 39-45, passim) e testimoniato dalle scelte di tanti nostri Santi. «In un tempo come il nostro in cui ogni giorno siamo chiamati a misurarci con il rischio di una crescente disumanizzazione» e di un imbarbarimento delle relazioni tra singoli e tra stati, «frutti di un egoismo e di una paura che crescono e contaminano, diventare capaci di misericordia significa ridare spazio al meglio della nostra umanità» (Semeraro). E questo richiede l’intelligenza capace di leggere e valutare la realtà, il coraggio di compromettersi anche remando contro corrente rispetto al pensare comune, la tenacia che non ci fa girare dall’altra parte di fronte ai primi insuccessi o alle immancabili contestazioni.  

“Va’, e anche tu fa’ così!” – ci chiede questa sera il Signore Gesù: “gratuitamente hai ricevuto misericordia – gratuitamente rimetti in circolazione la compassione”. Ci sostenga, nel desiderio di far nostro lo “spirito del buon samaritano” – ci sostenga e ci illumini l’esempio di san Francesco al quale affidiamo la nostra preghiera. 


Preghiera di Papa Francesco 
per il Giubileo della Misericordia 

Signore Gesù Cristo, 
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, 
e ci hai detto che chi vede te vede Lui. 
Mostraci il tuo volto e saremo salvi. 
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; 
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; 
fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. 
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: 
Se tu conoscessi il dono di Dio! 
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, 
del Dio che manifesta la sua onnipotenza 
soprattutto con il perdono e la misericordia: 
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, 
suo Signore, risorto e nella gloria. 
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza 
per sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore: 
fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione 
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore 
e la tua Chiesa con rinnovato entusiasmo 
possa portare ai poveri il lieto messaggio 
proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà 
e ai ciechi restituire la vista. 

Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia 
a te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo 
per tutti i secoli dei secoli. Amen.


* * *


Salve, Sancte Pater, patriae lux, forma Minorum. 
Virtutis speculum, recti via, regula morum: 
Carnis ab exilio duc nos ad regna polorum. 

(Salve, Padre santo, luce della patria, modello per i Frati Minori. Specchio di virtù, via verso ciò che è retto, regola di vita. Dall'esilio della carne, conducici al regno dei cieli).

Dio onnipotente 
tu hai chiamato Francesco nella via povera e umile 
a rassomiglianza di Gesù crocifisso: 
concedi a noi di seguire il suo esempio 
nella libertà dei figli di Dio 
nella gioia dei cuori semplici 
nello stupore per le tue creature. 
Per Cristo nostro Signore. 


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.