Navata della chiesa inferiore |
L’ingresso alla chiesa inferiore, così come doveva essere nel maggio del 1230 quando vi fu trasferito il corpo di san Francesco, si apriva in corrispondenza dell’arco che congiunge l’attuale transetto d’ingresso alla navata.
«Notevole esempio di gotico italiano ancora pervaso di gravità romanica» (La Basilica di San Francesco ad Assisi/The Basilica of St Francis in Assisi, a cura di Gianfranco Malafrina, Modena, Franco Cosimo Panini, 2005, p. 7) questa chiesa ha la navata coperta di volte a crociera con decorazioni pittoriche eseguite intorno tra il 1250 e il 1260 da un pittore anonimo, chiamato convenzionalmente “Maestro di San Francesco”.
Fino ad allora possiamo supporre che tale spazio dovesse presentarsi disadorno – in linea del resto con la sua funzione di chiesa sepolcrale – o tuttalpiù decorato da immagini “devozionali”, come quella che rimane nella parte inferiore della parete settentrionale della prima campata da ovest. Al centro delle pareti delle tre campate dovevano aprirsi delle piccole finestre che garantivano una pur minima luminosità dell’ambiente.
Il 25 maggio 1230, vigilia della Pentecoste, traslato della chiesa di San Giorgio dove era stato sepolto all’indomani della morte, il corpo di san Francesco fu portato all’interno di questo spazio e, “privatamente”, sepolto al centro della crociera, dove poi fu eretto l’altare.
Proprio questa presenza dei resti mortali del Santo faceva della chiesa inferiore, la chiesa sepolcrale, il vero e proprio santuario dove il pellegrino giungeva per “vedere” colui che era stato “somigliantissimo a Cristo”.
Una testimonianza trecentesca colloca Assisi e la tomba di san Francesco tra le grandi mete dei pellegrini di quel tempo, dopo Gerusalemme, Roma, Santiago di Compostela. La fama di Francesco si era probabilmente diffusa in Europa: là dove giungevano a seguito della rapida diffusione dell’Ordine, i minoriti parlavano della loro esperienza, raccontavano del loro fondatore, mettevano in luce la bellezza del suo carisma, dicevano delle stigmate di cui era stato insignito due anni prima della morte. Segni straordinari che, fino ad allora, nessuno aveva mai portato nella carne (se si eccettua forse san Paolo che in Gal 6, 17 scrive: «porto le stigmate di Gesù nel mio corpo»).
Fu probabilmente proprio per questi pellegrini che cominciarono a definirsi, in Assisi come anche in altre località, i cosiddetti “luoghi francescani”, così da andare incontro al desiderio di questi devoti di "vedere" là dove Francesco ascoltò la voce del Crocifisso, là dove si ritirava in orazione, là dove aveva compreso la sua vocazione, là dove infine aveva reso l’anima a Dio. Pare in qualche modo di udirla la richiesta che i frati dovettero più volte sentirsi rivolgere da questi pellegrini, molto simile a quella che i greci giunti a Gerusalemme per la festa rivolsero quel giorno a Filippo (cf Gv 12, 21): "vogliamo vedere Francesco".
Lato sud della navata |
Forse anche qui, proprio per loro, fu deciso di illustrare sulla parete sud della chiesa inferiore una storia breve di Francesco: i momenti salienti della sua vita, un itinerario che dalla rinuncia ai beni prosegue con il sogno di Innocenzo III, la predica agli uccelli, la stigmatizzazione, fino al compimento del suo “destino” nella morte e glorificazione della sua anima. Scene purtroppo frammentarie a motivo dell’apertura nel Trecento degli archi di accesso alle cappelle laterali e la conseguente perdita di parte degli affreschi.
Sembra che sia la prima volta che in una chiesa – vale la pena ricordare che non si tratta di una chiesta “qualunque”, ma di un luogo posto da Gregorio IX sotto l’immediata giurisdizione papale, luogo in cui la chiesa stessa “scriveva” la vita di Francesco da proporre come modello alla cristianità – sia stata dipinta la storia di un santo. Un’altra novitas, se si considera che fino ad allora le storie venivano illustrate nelle chiese erano esclusivamente bibliche, la cosiddetta Biblia pauperum.
Ma come vennero scelti gli episodi della vita di Francesco qui illustrati se, come sembra di poter riconoscere, non si tratta di un semplice riassunto della sua vicenda terrena? Una risposta ci può venire “interrogando” il pellegrino che giungeva qui. Possiamo riconoscere tra di essi alcuni provenienti da lontano, da quell’Europa in forte fermento religioso, di cui proprio il pellegrinaggio era un’espressione. E in questo viaggio avevano sicuramente incontrato nuove esperienza di vita cristiana, uomini e donne che aspiravano ad una santità da cui l’istituzione ecclesiale sembrava essersi allontanata, gruppi che professavano una radicalità evangelica che aveva spesso nella povertà l’elemento caratterizzante. Una radicalità che poteva però condurre alla facile presunzione di sentirsi cristiani “migliori”, puntando il dito contro quelli che non vivevano così. Movimenti “pauperistici” che radicalizzandosi rischiavano di diventare delle vere e proprie eresie.
Ebbene sembra di vederli questi pellegrini che avevano fin qui superato le numerose insidie del viaggio e avevano resistito alle spirituali lusinghe di questi gruppi. Giunti ad Assisi, messi di fronte alle novità di Francesco e del movimento da lui fondato, avvertivano però il bisogno di essere rassicurati sulla sua “ecclesialità”.
Ecco una possibile chiave di lettura delle storie di san Francesco della chiesa inferiore tratte dalle “vite” di fra Tommaso da Celano (1200ca-1265), il primo biografo del nostro Santo.
Francesco si spoglia delle vesti e rinuncia ai beni |
Nella “rinuncia ai beni” infatti – la prima scena sulla parete sud – si poteva vedere non solo il gesto di colui che davanti al vescovo della città rinunciò alle sue sostanze restituendo al padre tutto quanto possedeva (fino alle mutande come sottolinea lo stesso Biografo), ma anche – e, in questa nostra lettura, soprattutto – il gesto del vescovo Guido che «ammirandone il fervore e la risolutezza d’animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e lo copre con il suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto ispirato da Dio al suo servo, carico di significato misterioso. Perciò da qual momento egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, abbracciandolo con sentimento di grande amore» (1Cel 15: FF³ 344). È proprio questo che il pellegrino desiderava vedere: il rappresentante locale della autorità della chiesa che riconosce, approva e pone sotto la sua protezione Francesco, garantendo così della sua “cattolicità”, fugando in questo modo qualsiasi dubbio o timore.
Il sogno di Innocenzo III |
A questo episodio segue nella Vita prima l’incontro con i lebbrosi, il restauro delle chiese di San Damiano e di Santa Maria della Porziuncola (in cui ascolterà e si farà spiegare il brano del Vangelo relativo al mandato degli apostoli lasciando ogni cosa e confezionando per sé una veste a forma di croce), il donargli da parte del Signore dei primi compagni e il mandarli a due a due nel mondo, fino alla seconda scena della nostra sequenza. Dalla prima sono trascorsi circa tre anni (1206-1209).
Racconta il Biografo che «vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci, il beato Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola. Poi, con tutti i suddetti frati, si recò a Roma, desiderando grandemente che il signor Papa Innocenzo III confermasse quanto aveva scritto» (1Cel 32: FF³ 372). A Roma Francesco – sicuramente con l’appoggio del vescovo Guido e di altri prelati – poté presentare il suo propositum vitae (perché di questo più che di una vera e propria regola sembrerebbe trattarsi) a Innocenzo III che fu confermato circa le intenzioni del richiedente da un sogno «fatto pochi giorni prima e, illuminato dallo Spirito Santo, affermò che si sarebbe realizzato proprio in lui. Aveva sognato infatti che la basilica del Laterano stava per crollare e che un religioso, piccolo e spregevole, la puntellava con le sue spalle perché non cadesse. “Ecco, pensò: questi è colui che con l’azione e la parola sosterrà la Chiesa di Cristo» (2Cel 17: FF³ 603).
Si tratta – procedendo nella nostra interpretazione – di un episodio che, mentre conferma la cattolicità di Francesco (dopo quella della chiesa “locale” l’approvazione di quella “universale”), esprime e manifesta la sua vocazione e missione. Il sogno di Innocenzo III infatti in qualche modo istituzionalizza il mandato affidato a Francesco dal Crocifisso di San Damiano: «va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina» (2Cel 10: FF³ 593). «Franciscus vir catholicus et totus apostolicus» (Francesco uomo cattolico e tutto apostolico) - per usare l’espressione del minorita Giuliano da Spira ripresa dalla prima antifona della salmodia dei Primi vespri della sua festa - viene dunque qui presentato come un cristiano che nella chiesa ha una peculiare vocazione e missione.
(Francesco, uomo cattolico e tutto apostolico, insegnò a mantenere integra la fede della Chiesa romana ed esortò a onorare, prima di tutti gli altri, i sacerdoti.)
esecuzione a cura della Schola Antiqua della Catedral Primada di Toledo
Franciscan antiphoner, fol. 59r detail: Franciscus vir katholicus [Franciscus vir catholicus]. (MS.1996.097, John J. Burns Library, Boston College).
(Francesco, uomo cattolico e tutto apostolico, insegnò a mantenere integra la fede della Chiesa romana ed esortò a onorare, prima di tutti gli altri, i sacerdoti.)
Sembra che con l’approvazione “orale” del propositum, papa Innocenzo III abbia chiesto in cambio a Francesco la tonsura (o chierica) concedendogli così la licentia praedicandi, tanto necessaria in una situazione di ignoranza di tanti predicatori o al “carismatismo” di altri che portava spesso all’eresia, alla confusione e non all’edificazione della chiesa (cf Enzo Bianchi, Laici: uomini e donne nella chiesa, in “Osservatore Romano”, 1 marzo 2016). A questa concessione sembra alludere lo stesso Celano quando scrive: «Francesco allora, usando della facoltà concessagli, cominciò a spargere semi di virtù, predicando con maggiore fervore tutt’attorno per città e villaggi» (2Cel 17: FF³ 603).
La predica agli uccelli |
E proprio alla predicazione, al modo con cui Francesco esercita la sua missione “nella” e “per” la chiesa, rimanda il terzo episodio della nostra sequenza: la “predica agli uccelli”. Che se da un lato dice appunto la modalità, dall’altro sembra sottolinearne la forma. Uno stile non caratterizzato da eloquenza e oratoria, ma – come annota il Biografo – da «grande pietà e tenero amore anche per le creature inferiori e irrazionali» (1Cel 58: FF³ 424). Emblematica in questo senso La predica fatta più con l’esempio che con la parola alle Damianite (cf 2Cel 207: FF³ 796) o La bella predica che fece in Assisi san Francesco e frate Ruffino narrata nei Fioretti (XXX: FF³ 1864). Sembra di poter così affermare che Francesco amasse predicare più con la vita che con le parole, o meglio che la Parola – di cui non era un ascoltatore sordo (cf 1Cel 22: FF³ 357) – traspariva dalla sua vita, quasi fisicamente, nella sua carne.
Francesco stigmatizzato sul monte della Verna |
E fu proprio questa carne, due anni prima della morte, sul monte della Verna, durante una quaresima in onore dell’Arcangelo Michele di cui era molto devoto (cf 2Cel 197: FF³ 785), che fu segnata dal Cristo. Profondamente meravigliato e pervaso nel cuore da gioia mista a dolore di fronte all’apparizione di un Serafino inchiodato alla croce, cercava di comprendere che cosa questa visione potesse significare. «Mentre però, cercando fuori di sé, l’intelletto gli venne meno, subito nella sua stessa persona gli si manifestò il significato. D’un tratto cominciarono infatti ad apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite dei chiodi, nella stessa maniera nella quale poco prima le aveva viste sopra di sé nell’uomo crocifisso […] Anche il fianco destro, come trafitto da una lancia, era segnato da una rossa cicatrice che, emettendo spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la tunica e la veste» (3Cel 4: FF³ 829; cf 1Cel 94-95: FF³ 484-485). «Così – commenterà l’episodio san Bonaventura nella sua Leggenda maggiore – il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato» (13, 5: FF³ 1228).
Sarà ancora san Bonaventura ad indicare in quei segni che Francesco portò per due anni nella sua carne e che rimasero visibili anche dopo la morte, il «sigillo che lo rese simile al Dio vivente, cioè a Cristo crocifisso. Sigillo che fu impresso nel suo corpo non dall’opera della natura o dall’abilità di un artefice, ma piuttosto dalla potenza meravigliosa dello Spirito del Dio vivo» (LegM Prologo 2: FF³ 1022). Una con-figurazione per la via della com-passione che trovò il suo compimento nella morte avvenuta presso la Porziuncola la sera del 3 ottobre 1226, di sabato.
La morte di Francesco e la glorificazione della sua anima |
La scena affrescata nel quinto riquadro dedicato alla vita del nostro Santo sembra tradurre in modo visivo quanto a proposito scrive l’antico Biografo: «Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio. Un frate suo discepolo, assai rinomato, vide l’anima del padre santissimo salire direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida. Si radunò allora una grande quantità di gente, che lodava e glorificava il nome del Signore. Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona adiacente per vedere le meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e sospiri il pio affetto del cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre. Ma la singolarità del miracolo mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia. Vedevano distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e precisamente nel centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi cresciuti con la carne medesima, che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato destro arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un intenso candore, preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le sue membra divennero flessibili e molli, non rigide come avviene nei morti, ma rese simili a quelle di un fanciullo» (2Cel 217-217a: FF³ 810-812).
esecuzione a cura della Franciszkańska Szkoła Muzyki i Liturgii
(O santissima anima, al tuo passaggio da questo mondo, i cittadini del cielo ti corrono incontro, il coro degli Angeli esulta, la Trinità gloriosa t'invita dicendo: "rimani con noi per sempre").
* * *
Introduzione generale
1. Dal colle dell'Inferno al colle del Paradiso
La chiesa inferiore
2. Ferma il passo, rallegrati, o viaggiatore: il portale e il transetto d'ingresso
3.1. Franciscus vir catholicus et totus apostolicus: il lato meridionale della navata con il ciclo sanfrancescano
3.2. Franciscus alter Christus: il lato settentrionale della navata con il ciclo cristologico
4.1. Vivere secondo la forma del santo Vangelo - L’umiltà dell’Incarnazione: il lato settentrionale del transetto
4.2. Vivere secondo la forma del santo Vangelo - La carità della Passione: il lato meridionale del transetto
4.3. Vivere secondo la forma la forma del santo Vangelo - In obbedienza, senza nulla di proprio e in castità: le "allegorie francescane" e il Gloriosus Franciscus nel soffitto della crociera
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
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