domenica 21 maggio 2017

Un luogo in cui "innamorarsi di Cristo, come Francesco, deponendo l’abito dell’egoismo, per rivestire quello di un’esistenza spesa nell’amore". Omelia del Vescovo di Assisi in occasione della inaugurazione del "Santuario della spoliazione" il 20 maggio 2017

Sabato 20 maggio 2017, durante la Messa in occasione della inaugurazione del "Santuario della spoliazione" presso la Chiesa di Santa Maria Maggiore in Assisi, l'Arcivescovo-Vescovo di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino Mons. Domenico Sorrentino ha tenuto la seguente omelia:

Santuario della spogliazione. Un evento di  ottocento anni fa, che si fa per noi messaggio e profezia.      
Purtroppo la “filosofia” di Pietro di Bernardone – il padre di Francesco che gli chiuse il cuore fino a privarlo dell’eredità, – continua a imperversare. È l’adorazione del dio-denaro, che convoca pochi eletti al suo tempio dorato, per lasciare una moltitudine in preda alla miseria. È lo scandalo di un mondo fatto da un  pugno di “sopravvestiti” che guazzano nell’effimero e un mondo di “spogliati” condannati alla disperazione. 
Il nuovo Santuario, ha scritto papa Francesco, nasce come “profezia di una società più giusta e solidale”.
Il giovane assisano che fece il gesto clamoroso di spogliarsi di tutti i beni, fino a rimanere nudo, non recitava un dramma letterario, gettava le fondamenta di un mondo nuovo. 
Il Santuario che, a ricordo di quell’evento, oggi viene inaugurato, è fatto per stimolare tutti a una riflessione radicale sul senso della vita.
È  di questo, infatti, che si tratta. Francesco d’Assisi ci conduce a un bivio. Ci pone di fronte a un aut aut. Ci obbliga a pensare e a decidere da che parte stiamo. Quello della “spogliazione” è un gesto che inquieta. Ha a che fare con la vita, con il senso dell’umano, con il futuro della società.

Ha un senso speciale per noi discepoli di Cristo. Vi si può leggere una dimensione battesimale. Si radica infatti in quel duplice movimento di immersione ed emersione, di spogliazione e rivestimento, che dà inizio alla vita cristiana, e la fa ricominciare con sempre nuovo vigore quando prendiamo sul serio il vangelo e ne facciamo il nostro programma di vita. 
È dunque dal vangelo che dobbiamo prendere le mosse, se vogliamo capire che cosa è in gioco nella spogliazione di Francesco.
La pagina di vangelo appena proclamata [Gv 14, 15-21] ci offre a tal proposito una cifra importante, che mette in gioco il volto stesso di Dio. «Se mi amate, – dice Gesù –, pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito che rimanga con voi per sempre». Il Paraclito, lo Spirito Santo, nella Trinità è il bacio, il vincolo di amore tra il Padre e il Figlio, e nella storia del mondo è il creatore, il rinnovatore, il respiro che fa vivere, la forza che sostiene ed edifica, il vento che spazza le macerie e la mano che le plasma e le restaura. Per Francesco, quel giorno di ottocento anni fa, fu Pentecoste, fu il tempo forte, il kairòs del Paraclito. 
Fu Francesco a togliersi i panni, o fu quel vento divino a strapparglieli di dosso? Non dubito che sia stato lo Spirito ad afferrarlo e a metterlo a nudo. Lo Spirito lo avvolse, anzi, lo travolse! E illuminò al tempo stesso la mente e il cuore del vescovo Guido, per consentirgli di decifrare lo stravagante linguaggio di Francesco. Francesco nudo e Guido che lo avvolge del suo mantello sono un gruppo scultoreo che non si può dividere: entrambi “complici dello Spirito” per dare inizio a una storia nuova.

Ma qual era il cuore della scelta di Francesco? Anche su questo ci illumina l’odierna parola del vangelo: «Chi ama me – dice Gesù – sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». Francesco non fa solo un gesto di rinuncia per spuntare con la “non violenza” gli artigli del padre. Francesco fa un atto di amore. Cristo lo ha raggiunto, lo ha sedotto, si è “manifestato” a lui, come promette nella pagina evangelica appena ascoltata. E Francesco agisce come uno che se ne è invaghito. Non solo i denari non gli interessano più, ma nient’altro al mondo ha più senso, se non è Gesù o non porta a lui. Francesco è diventato, per così dire, Gesù. E per questo, uomo nuovo, uomo libero, uomo di Dio e uomo per gli altri!

Santuario della spogliazione. Santuario francescano? Senza dubbio. Quello che mancava ancora ad Assisi. Ma, ancor prima, santuario cristologico. È il mistero di Cristo che qui viene annunciato attraverso i gesti e le parole di Francesco.
Si noti che non a caso quello che oggi inauguriamo si chiama “Santuario della spogliazione”, e non “Santuario della spogliazione di Francesco”.
Ad Assisi è naturale raccontare la storia di Francesco. Ma Francesco non parla di sé, ci addita Gesù. Il Santuario evoca innanzitutto la “spogliazione” di Cristo. In questo termine si può raccogliere quello che la Scrittura indica come kénosi, ossia come svuotamento (cf Fil 2, 7). «Da Natale a Pasqua – ha scritto il Papa nella Lettera che mi ha inviato per l’occasione – il cammino di Cristo è tutto un mistero di “spogliazione”. L’Onnipotenza, in qualche modo, si eclissa, affinché la gloria del Verbo fatto carne si esprima soprattutto nell’amore e nella misericordia. La spogliazione è un mistero di amore!».
Sono queste parole di papa Francesco a delineare la vocazione specifica, la mission – si direbbe oggi –  del nostro nuovo Santuario. Esso ha la missione di annunciare, sulle orme di Francesco di Assisi, il mistero della spogliazione di Cristo e la sfida che ne deriva per la nostra vita personale e sociale, per la nostra esistenza di credenti e per la Chiesa intera. 
Nel discorso che ci fece nella Sala della spogliazione il 4 ottobre 2013 papa Francesco fece appello a tutti i membri della Chiesa perché imparino a spogliarsi dello spirito del mondo e si rivestano di Cristo. Appello che riguarda noi credenti in Gesù, ma che dice qualcosa, anche al di là della fede, a tutti gli uomini di buona volontà.   

Che cosa dunque chiede, questo Santuario? Qual è il sogno che esso porta con sé?  
Io lo vedo come il luogo in cui ciascuno di noi viene a innamorarsi di Cristo, come Francesco, deponendo l’abito dell’egoismo, per rivestire quello di un’esistenza spesa nell’amore. 
Vorrei che qui arrivassero i potenti del mondo a deporre una volta per tutte gli arsenali nucleari, le mine anti-uomo, il commercio di armi che sono la vergogna di un’umanità che vive allegramente sull’orlo del baratro, sottraendo pane e dignità a milioni di esseri umani.
Vorrei che qui venissero i mafiosi a deporre la loro prepotenza omicida che fa scorrere sangue e avvelena le fibre intime della società e dell’economia.  
Vorrei che qui venissero i burattinai della finanza internazionale a deporre i loro irresponsabili giochi che creano, nel mondo globalizzato, disoccupazione, povertà e  disagi di una infinità di esseri umani “colpevoli” solo di essere nati poveri!
Vorrei che tra queste mura, che trasudano le note del Cantico di Frate Sole, si fermasse quell’incredibile tirannia sull’ambiente che causa enormi e forse irreparabili danni che ancora una volta schiacciano le esistenze più deboli, le costringono ad emigrazioni violente e desertificano le fonti vitali dell’umanità.
Vorrei che in questi ambienti che furono testimoni di un dramma di famiglia tutto giocato sul sì o sul no al dio–denaro venissero tanti parlamentari, uomini della scienza e dell’informazione,  a interrogarsi sulla loro responsabilità di promuovere una legislazione e una cultura poste interamente a servizio della pace, della famiglia e della vita, e mai complici dell’assassinio di esseri umani nel grembo materno e nella loro fragilità dovuta all’età e alla condizione fisica.

Ce n’è per tutti. Ma a partire da noi, comunità cristiana. Come papa Francesco ci ha ricordato, anche come Chiesa abbiamo tanto da cambiare. Siamo una Chiesa  che ha bisogno di spogliarsi di storici fardelli di potere e di possesso; che ha bisogno di smettere la presunzione di mettersi sul piedistallo per farsi umile lievito di fraternità; che deve annunciare Cristo senza timidezza, con la forza mite dell’attrazione e della testimonianza; che dev’essere ancora più pronta a fare spazio agli ultimi, non accontentandosi delle opere della Caritas, per diventare una famiglia di famiglie, in cui ogni fratello bisognoso, di qualsiasi colore e latitudine, possa trovare  una mensa, una casa, un cuore.  
Questo santuario, in definitiva, invoca una Chiesa che, come Francesco d’Assisi, risplenda pienamente di Cristo e non abbia paura di gridare il vangelo.
Un  Santuario che ci impegna tutti.
Torni ad inquietarci la parola detta dal giovane Francesco nell’atto della spogliazione: «D’ora in poi non dirò più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli».


A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

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