venerdì 5 maggio 2017

"Vivere secondo la forma del santo Vangelo": "la carità della Passione". Visita alla chiesa inferiore della Basilica di S. Francesco in Assisi (4.2)


La lettura del Vangelo - dalla promessa contenuta nella doppia scena dell’Annuciazione al compimento che si realizza in quelle speculari della Discesa agli inferi e della Risurrezione - prosegue nel transetto meridionale dedicato alla «carità della Passione» (1Cel 22: FF³ 357). Qui, Pietro Lorenzetti (1280/85ca-1348ca), una miniaturista considerato tra i massimi rappresentanti della scuola senese, probabilmente tra il 1315 e il 1319 affresca le scene della passione, morte e risurrezione di Cristo. «Al vangelo dell’infanzia doveva rispondere il vangelo della Passione e i maestri di bottega decisero di affidarne l’esecuzione a un giovane senese che sapevano in grado di ribaltare le pesanti convenzioni della sua arte. Pietro Lorenzetti superò tutte le aspettative e rivestì il racconto della Passione d’un’immaginazione policroma e d’un’ispirazione del tutto insolita, nonostante i limiti imposti dal soggetto e il rigore del programma generale» (cf Guy Lobrichon, Francesco d’Assisi. Gli affreschi della basilica inferiore, Torino, SEI, 1987, p. 106).

Secondo la logica di lettura dettata dal ciclo dell’infanzia, il primo affresco di questa nuova sequenza - che parrebbe seguire, più che la narrazione evangelica, la cronologia della Settimana Santa, con al centro il Triduo Pasquale o, come lo chiama sant’Agostino, il «sacratissimo triduo del Crocifisso, Sepolto e Risorto» (Epistola 55, 24: Patrologia Latina 33, 215) – si trova al vertice della volta ovest, sul versante destro del visitatore che entra nel transetto sud ed è l’Ingresso a Gerusalemme (Mt 21, 1-9 e par.), «una città splendida e sontuosa, ben più viva della città severa e stereotipa che avevano lasciato i suoi genitori» (Lobricon, cit., p. 106-107). È l’episodio che la liturgia commemora nella cosiddetta Domenica delle Palme in cui prende appunto avvio la Settimana Santa. 

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: Dite alla figlia di Sion: / Ecco, il tuo re viene a te / mite, seduto su un'asina, / con un puledro figlio di bestia da soma.I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide! / Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Osanna nel più alto dei cieli!

Il proseguo della lettura ci conduce, a destra, sulla soglia del Triduo con la celebrazione del Giovedì Santo. Eccoci nel Cenacolo durante l’Ultima cena così come narrata dai vangeli “sinottici” (Mt 26, 20-29 e par.), ma con l’immagine dell’apostolo Giovanni reclinato sul petto di Gesù secondo il racconto del quarto vangelo (Gv 13, 25). «Sembra che il tempo si sia fermato, ma l’animazione che regna in cucina ci ricorda che l’Eucaristia è di tutti i giorni e che la vita continua. Dal gatto al cane, ai domestici e ai servitori, e poi agli apostoli, si passa a poco a poco dal realismo più quotidiano al sacro più intenso» (Lobrichon, cit., p. 107), o viceversa: «la rappresentazione di questa cucina è stata segnalata come una grande novità, l’irrompere cioè di un dato realistico nel tema così denso di implicazioni simboliche, dell’Ultima Cena» (Chiara Frugoni, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, in: I protagonisti dell’arte italiana. Dal Gotico al Rinascimento. Duccio, Giotto, Simone Martini, Beato Angelico, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli, Firenze, Scala, 2013, p. 262).
Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo».  Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».

La scena a sinistra del sottostante registro riprende l’episodio con cui, a differenza degli altri evangelisti, san Giovanni racconta come Gesù «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (13, 1). In un ambiente completamente diverso dal padiglione esagonale della scena precedente, viene affrescata la Lavanda dei piedi (13, 1-15). «All’estrema sinistra Pietro protesta per il gesto di Gesù che gli lava il piede, Giuda si è appartato ed esprime il suo rifiuto con un gesto della mano. Il tema è enunciato da Cristo: è quello dell’obbedienza, e un altro apostolo l’ha compreso così bene che si affretta a togliersi il sandalo per avere parte con Cristo (Gv 13, 8)» (Lobrichon, cit., p. 110). Tolto il mantello blu della sua umanità Gesù rimane con la tunica rosso porpora- che già si intravvedeva sotto il manto fin dalla prima scena di questo ciclo – simbolo della sua divinità. È Dio quindi che in Gesù Cristo si fa servo e lava i piedi ai suoi discepoli, come anche sembrano sottolineare le maniche dello stesso abito arrotolate: «chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 43-45).
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.  Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.  Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?».  Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo».  Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me».  Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.

Il racconto continua nell’orto degli Ulivi dove Gesù si reca con i suoi. Lì avviene il Tradimento di Giuda (Mt 26, 47-56 e par.). «La luna si nasconde dietro le rocce, sospesa sopra Giuda che posa la mano su Cristo per significare il potere che ha su di lui. Da sinistra i soldati scendono in frotta, raggruppandosi in una massa nerastra e indistinta al centro. Sono solo strumenti rizzati verticalmente. La scena si svolge tra Giuda e Cristo. Non sarà il gesto disperato di Pietro che mozza l’orecchio di Malco (Gv 18, 10) ad arrestarla. D’altronde lo stesso Pietro, figura del sommo pontefice, si è appena tolto il mantello, segno che conduce una battaglia alla quale non doveva prender parte e se ne pente. Gli altri apostoli si disperdono, abbandonando il Cristo nelle mani del traditore» (Lobrichon, cit., p. 110).
Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.  Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò.  E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

Sul versante opposto della volta, in alto, a sinistra, è affrescata la Flagellazione di Gesù (Mt 27, 11-26 e par.) tra alcuni spettatori che chiacchierano e, sopra di loro, a destra un bimbo che con accanto la madre – qualcuno vi ha voluto vedere la famiglia di Pilato - tiene al guinzaglio una scimmia, possibile allusione a Satana che appunto “scimmiotta” Dio - Tertulliano lo chiama simia dei (scimmia di Dio) – senza mai poterlo uguagliare. «L’indifferenza è totale, Gesù è lasciato solo e questo per il pittore conta più del dolore e dell’accasciamento di Cristo: per mostrare questi due aspetti, la Coronazione di spine era tradizionalmente più efficace e più frequente della Flagellazione» (Lobrichon, cit., p. 110-111).
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante cose attestano contro di te?». Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: «Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò: «Chi dei due volete che vi rilasci?». Quelli risposero: «Barabba!». Disse loro Pilato: «Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?». Tutti gli risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli aggiunse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora urlarono: «Sia crocifisso!». Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli». Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

«Come prima vi eravamo entrati, ora usciamo dalla città per avviarci al Calvario. Gesù porta la croce [Gv 19, 16-17 e par.], e lascia una Gerusalemme vuota, nuda e senza attrattive. In testa e in coda al sinistro corteo, preoccupato solo del buon ordine della marcia, procedono uomini a cavallo: due ladroni davanti, due soldati. Gesù sofferente che porta la croce, altri due soldati che trattengono gli slanci dolorosi di Maria, delle tre pie donne e di S. Giovanni, senza dubbio Veronica e poi ancora alcuni soldati. Il sinistro corteo si dirige verso il luogo della crocifissione. Tutto è sfocato e desolato, in netto contrasto con l’Ingresso trionfale, che sta di fronte, e i profeti piangono» (Lobrichon, cit., p. 111).
Allora [Pilato] lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota.











Nel registro sottostante, anzi, nello spazio che nel transetto settentrionale era occupato dal secondo e dal terzo registro, «uno spazio inaudito e smisurato a confronto di tutte le altre scene» (Lobrichon, cit., 111), sta la grande Crocifissione (Gv 19, 18-35), purtroppo danneggiata nel sec. XVII dalla collocazione di un altare proprio sotto la croce. Siamo nel cuore del Venerdì Santo. Il gruppo della Vergine, delle pie donne e di san Giovanni, «solidale nella disperazione si è raccolto sotto uno dei due ladroni crocifissi, come dicono i vangeli, insieme a Gesù. I due ladroni appaiono per la prima volta in una composizione monumentale in Occidente, ma qui ci interessa quello di sinistra e solo lui; ha l’aureola, è quello che Gesù porta con sé in paradiso (Lc 23, 43). Non merita l’attenzione di nessuno e la soldataglia se la prende con l’altro malfattore. Da sinistra dunque comincia l’opera della Redenzione e il ladrone ne è il primo beneficiario. Nel frattempo, gli angeli in cielo, in preda a un dolore indicibile, volano qua e là; non raccolgono più il sangue di Cristo che cola a fiotti sui presenti […] Sotto il braccio destro di Gesù si trovano i veri discepoli, con gli occhi fissi d’ora in poi verso il vero Dio crocifisso e oltre, verso le scene che seguono sul versante meridionale» (Lobrichon, cit., p. 114).

[…] Lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».  Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto».I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le mie vesti / e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così.Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.



Nel registro inferiore del lato sinistro della parete sud (a destra della Crocifissione), Pietro Lorenzetti rappresentò la Deposizione della croce (Gv 19, 38-39), «forse l’affresco più bello di tutti per la genialità della composizione, che spinge tutti i personaggi con un effetto fortemente asimmetrico in una piramide spostata a sinistra, lasciando il campo visivo vuoto, dove sola grandeggia la nuda croce. Da Nicodemo intento a svellare i chiodi dai piedi sanguinanti, a Giovanni, a Giuseppe di Arimatea, alle Marie, è una linea ininterrotta che fluisce avvolgente, scandendo il propagarsi del dolore che passa da un personaggio all’altro; ognuno sorregge con gesto affettuoso ed intenso Cristo, quasi disarticolato dal supplizio […]. Bellissimo anche lo sguardo della Madonna i cui occhi fissano, in esatta corrispondenza, gli occhi chiusi del Figlio, mentre i biondi capelli fluttuano in una morbidissima cascata. E da ammirare è ancora il grumo di sangue sulla nuda roccia, sotto la veste allargata di Nicodemo, appena caduto dalla croce ora vuota; ancora una di quelle indicazioni temporali che Pietro riesce così abilmente ad introdurre nei suoi affreschi, qui per segnare drammaticamente la vita di Cristo appena conchiusa» (Frugoni, cit., p. 209).
Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre.





Dalla parte opposta della parete, a destra, sempre nel registro inferiore, si trova la scena della Sepoltura (Gv 19, 53-56) che nei racconti evangelici forma un tutt’uno con la Deposizione. Compaiono gli stessi personaggio di quella scena, questa volta raccolti attorno al sarcofago di Gesù, in cui il corpo sta per essere deposto tramite il sudario, teso da Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo e Giovanni apostolo. La Vergine bacia e abbraccia un'ultima volta il figlio, assistita dalle due Maria e dalla Maddalena, colte in gesti di viva disperazione.
[Calato dalla croce il corpo di Gesù, Giuseppe d’Arimatea] lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.

Il ciclo prosegue nel registro superiore, a sinistra, sopra la scena della Deposizione, con quella della Discesa agli inferi, mistero di cui si fa memoria il Sabato Santo.
Si tratta di un episodio che nell’iconografia attinge al Vangelo apocrifo di Nicodemo (Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di Luigi Moraldi, vol. 1: Vangeli, Casale Monferrato, Piemme, 2000², pp. 593-723; qui Recensione latina “B” 2, 1-5, 2, pp. 717-722 e, per il finale, Recensione latina “A” 8, 1, p. 706) in cui – nell’interpretazione del Lorenzetti – emerge al centro della scena «l’intrecciarsi – sul vuoto della brulla roccia – delle mani di Cristo e di Adamo, il primo salvato, a cui si oppone, in un moto convulso e vano, la mano aperta di Satana, dai piedi mostruosi, irrigiditi per l’ira della sconfitta» (Frugoni, cit., p. 270).
Aprite le porte! Dunque, mentre eravamo agli inferi incatenati nelle tenebre e nell’ombra di morte, improvvisamente risplendette su di noi una grande luce e si scossero l’inferno e le porte della morte. Si udì la voce del figlio del Padre altissimo, come la voce di un tuono, che proclamava, dicendo: “Ritraete, o prìncipi, le vostre porte, alzatevi porte eterne! Si approssima ad entrare il re della gloria, Cristo” […].Allora Satana disse all’Inferno: “Preparati a ricevere colui che ti condurrò”. L’Inferno rispose a Satana così “Questa voce non può essere altro che il grido del figlio del Padre altissimo, giacché al suono hanno tremato la terra e tutti i luoghi dell’inferno; penso perciò che io e i tuoi lacci siamo già aperti. Ma ti scongiuro, Satana, capo di tutti i mali, per le tue e le mie forze, di non introdurlo qui da me, affinché mentre lo vogliamo catturare non siamo da lui catturati […].Ma il nostro padre, Adamo, rispose a Satana in questo modo: “Duce della morte, di che cosa hai paura e tremi? Ecco che viene il Signore a distruggere tutte le tue menzogne; tu sai preso da lui e relegato per sempre”. Allora tutti i santi udendo come la voce del padre nostro Adamo rispose con fermezza a Satana, furono confermati nella gioia; corsero tutti dal padre Adamo e si radunarono in quel posto attorno a lui.E risuono nuovamente la voce del figlio del Padre altissimo, come il fragore di un grande tuono, che diceva: “Togliete, o prìncipi le vostre porte, alzatevi o porte eterne, ed entrerà il re della gloria”. Allora Satana e l’Inferno gridarono, dicendo: “Chi è questo re della gloria?”. E la voce del Signore rispose loro: “Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia” […].Ed ecco che improvvisamente l’Inferno si scosse, sin infransero le porte della morte, si spezzarono le sbarre di ferro e caddero a terra, e si aprì ogni cosa. Satana rimase in mezzo confuso e avvilito con i piedi avvinti da un ceppo. Ed ecco il Signore Gesù Cristo venire nello splendore di una luce eccelsa, mansueto, grande e umile, portando in mano una catena: la avvinse al collo di Satana, gli legò le mani dietro la schiena, lo scaraventò all’indietro nel Tartaro e gli mise il suo santo piede sulla gola, dicendo: “Per tutti i secoli hai fatto tanti mali, non ti sei arrestato in alcun modo. Oggi ti affido al fuoco eterno” […].
E stendendo la sua mano il Signore disse: “Venite a me, tutti voi, miei santi, che portate la mia immagine e somiglianza. Voi che siete stati dannati a causa dell’albero, del diavolo e della morte, vedete ora il diavolo e la morte dannati a causa dell’albero”. Tutti i santi si radunarono subito sotto la mano del Signore. Presa la mano destra di Adamo il Signore gli disse: “Pace a te e a tutti i figli tuoi, miei giusti". Allora, Adamo, gettatosi alle ginocchia del Signore, lo pregava con lacrime e a gran voce diceva: “Ti esalterò, Signore, poiché mi hai preso, non permettendo che i miei nemici si rallegrassero su di me. Signore Dio, gridai a te e tu mi hai sanato, o Signore: hai estratto dagli inferi l’anima mia, mi hai liberato da coloro che discendono giù nel lago.

Una vittoria, quella sugli inferi, che insieme a quella della scena successiva della  Risurrezione segna il compimento della “buona notizia” dell’Annunciazione. Si tratta di una raffigurazione non usuale per un mistero che i vangeli narrano essenzialmente attraverso la categoria dell’esperienza di coloro che incontrarono il Risorto (come ad esempio l’affresco giottesco del Noli me tangere della Cappella della Maddalena nella stessa chiesa inferiore, affrescato presumibilmente tra il 1207 e il 1208). Se già dal VI secolo si afferma l’immagine di Cristo che scende negli inferi, quella del Cristo che esce dal sepolcro inizierà ad essere utilizzata proprio a partire dal Trecento. «Questa nuova plasticità nell'interpretazione del tema è dovuta, almeno in parte, all'influsso del coevo teatro sacro, che per la scena della Risurrezione prevedeva l'uscita da sotto il palco, per via di una botola o secret, dell'attore che faceva la parte di Cristo» (Timothy Verdon, Fede nell’invisibile, in “L’Osservatore Romano”, 12 aprile 2009).


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La decorazione del transetto meridionale – come già in quello settentrionale – contiene un riferimento “esplicito” alla vita di Francesco. Nel registro inferiore del lato ovest, sotto l’affresco del Tradimento di Giuda del ciclo della passione, morte e risurrezione di Gesù, lo stesso Pietro Lorenzetti illustra il celebre episodio della stigmatizzazione del Santo avvenuta sul monte della Verna presumibilmente nel settembre 1224, attuando un compromesso tra le versioni dell’episodio narrateci da Tommaso da Celano (1Cel 94-95: FF³ 484-485; 3Cel 4: FF³ 829) e da san Bonaventura (LegM 13, 1-5: FF³ 1223-1228): «da una parte il serafino non è più il semplice angelo tutto coperto dalle sue ali e senza la croce, come lo aveva raffigurato una trentina d’anni prima il "Maestro di san Francesco" nella medesima chiesa; le ali si sono abbassate per mostrare il costato trafitto di Cristo; ed è veramente Cristo, inchiodato alla croce, che appare nel cielo, le sue ferite giungono come frecce a ferire nelle mani nei piedi e nel costato il santo; solo le ali, quasi decorative, ricordano l’antica apparizione angelica. D’altra parte però, come Cristo nell’Orto degli Ulivi è in ginocchio in preghiera, fra le rocce della Verna, ma dove pure sono due olivi. Nel Vangelo di Luca (22, 39-46) è detto che il dolore provato da Cristo, immaginando quello che avrebbe patito, lo fece sudare sangue (come Francesco!), tanto che un angelo (come il serafino) appare e lo consola» (Frugoni, cit., p. 271-272).




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Sulle altre due pareti del transetto meridionale, nel registro più basso, vengono raffigurati alcuni santi particolarmente venerati nel territorio assisano: nel lato sinistro della parete est (sotto la grande Crocifissione) san Vittorino (probabilmente l'unica rimasta di altre figure che potevano seguire fino al trittico sul lato opposto della stessa parete), mentre, nello stesso lato della parete sud (sotto la Deposizione): san Niccolò, santa Caterina, santa Chiara e santa Tecla. 






Tra i due gruppi di santi, sul lato destro della parete est, sempre sotto la Crocifissione) il celebre trittico della cosiddetta Madonna dei tramonti - così chiamata per il sole che la illumina in alcuni periodi dell’anno, entrando appunto al tramonto dalla porta che dalla parete di fronte (a ovest) conduce sul terrazzo “absidale” del Chiostro di Sisto IV – dove insieme alla Madonna col Bambino sono raffigurati i santi Giovanni Evangelista (alla sua sinistra) e Francesco (alla destra). «Maria, rivolta al Figlio, indica con il solito gesto della mano con il pollice puntato all’indietro san Francesco, che portandosi la mano stigmatizzata al petto accoglie quella muta chiamata. Dall’altra parte Giovanni, con il libro del Vangelo in mano accenna ad un gesto di assenso. Anche qui i due santi si guardano intensamente. Dei due è dunque Francesco ad essere il privilegiato: le stimmate sono equiparate alle Scritture; non al testo sacro è affidato il messaggio evangelico ma alla reale imitazione di Cristo, che vediamo dipinto, crocifisso e solo, proprio sotto la Vergine» (Frugoni, cit., p. 272).

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Post relativi alla visita alla Basilica di S. Francesco in Assisi:

Introduzione generale
1. Dal colle dell'Inferno al colle del Paradiso

La chiesa inferiore
2Ferma il passo, rallegrati, o viaggiatore: il portale e il transetto d'ingresso
3.1Franciscus vir catholicus et totus apostolicus: il lato meridionale della navata con il ciclo sanfrancescano
3.2Franciscus alter Christus: il lato settentrionale della navata con il ciclo cristologico
4.1Vivere secondo la forma del santo Vangelo - L’umiltà dell’Incarnazione: il lato settentrionale del transetto 
4.2. Vivere secondo la forma del santo Vangelo - La carità della Passione: il lato meridionale del transetto
4.3Vivere secondo la forma la forma del santo Vangelo - In obbedienza, senza nulla di proprio e in castità: le "allegorie francescane" e il Gloriosus Franciscus nel soffitto della crociera

A Laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

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