Abbiamo sottolineato come la scena della rinuncia dei beni segni la svolta della storia di san Francesco. È il punto di non ritorno, l’inizio di una storia nuova, o della storia di un uomo nuovo, un uomo libero.
E in questa prospettiva ci piace guardare all'affresco che segue, quello del sogno di Innocenzo III che fissa un particolare dell’incontro che Francesco ebbe con il pontefice e che nel Testamento egli stesso ricorda così: «E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò» (2Test 14-15: FF 116). Era, con ogni probabilità, la primavera del 1209.
Come riferiscono alcune delle antiche biografie, il Pontefice si sentì rassicurato nell'approvare il propositum vitae presentatogli da Francesco, da «una visione, che egli aveva ricevuto dal cielo in quella circostanza. Infatti, come egli raccontò, in sogno vedeva che la basilica del Laterano ormai stava per rovinare e che un uomo poverello, piccolo e di aspetto spregevole, la sosteneva, mettendovi sotto le spalle perché non cadesse. “Veramente – concluse il pontefice – questi è colui che con la sua opera e dottrina sosterrà la Chiesa di Cristo”» (LegM III,10: FF 1064).[27]
Non dunque una tra le tante chiese, anche se particolarmente importante come appunto la basilica di San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma, sede del romano pontefice, insignita del titolo di Omnium Urbis et Orbis Ecclesiarum Mater et Caput, ma la stessa chiesa di Cristo. Una chiesa santa nel suo Capo, e su di lui stabile come casa fondata sulla roccia, ma peccatrice nelle sue membra che siamo noi, sempre a rischio di rovinare quando poniamo un altro fondamento. E questo sempre, da che mondo è mondo o, meglio, da che chiesa è chiesa. I tempi di Francesco e di Innocenzo III non facevano eccezione.
«Siamo in un momento di fermenti religiosi, civili e politici e soprattutto la chiesa si vede attraversata da molti movimenti spirituali che chiedono un rinnovamento della vita cristiana. Molti giovani si confrontano con le origini evangeliche riscoprendo la parola di Dio, la preghiera, la fraternità, perfino la predicazione. I Valdesi in Francia e in Italia settentrionale, come pure gli Umiliati che creano comunità di lavoro e di preghiera, i Catari nell'Europa e i numerosi movimenti religiosi, con la loro tensione caritativa verso i poveri, sono sulla scena quando Francesco si converte. La sua esperienza non è nuovissima e Francesco resta un uomo del suo tempo e profondamente radicato in esso. Tuttavia Francesco fin dall'inizio percepisce che la sua forma vitae dev'essere in ecclesia, in comunione con la chiesa. Quando agli inizi della sua conversione, vaga nelle campagne, entrando nella chiesa rovinata di San Damiano per pregare, trova un vecchio prete, un povero prete simbolo di una chiesa in decadenza e gli dà il denaro che aveva per ricostruire quella casa di Dio. Ma qui mentre è in preghiera davanti al Crocifisso sente una voce: “Francesco, va’, ripara la mia casa che come vedi è tutta in rovina!”. Francesco obbedirà alla lettera e come primo lavoro nella sua nuova vita riparerà chiese abbandonate, ma questo sarà come una profezia, un sigillo di tutta la sua vocazione: riparare non soltanto la chiesa di pietre, ma riparare la chiesa di Dio, quel corpo reale di Cristo che sta per volontà di Dio in mezzo agli uomini. Anche questo fatto mostra l'ecclesialità di Francesco di fronte a una chiesa storicamente, allora come adesso, ricca e potente, in preda al carrierismo ecclesiale, e in parte lontana dalla radicale purezza evangelica. Non era quella una chiesa di cui essere fieri perché segnata dalla presenza del denaro, del trionfalismo marcato, da una vita che si esauriva più nel sacramentalismo che in un’obbedienza al discorso della montagna di Gesù Signore. I vari movimenti erano insorti con veemenza contro questa situazione e Francesco avrebbe potuto essere fagocitato dalla loro crescita e dalla loro forte presenza. Ma di fronte a una chiesa criticata e contestata, che ormai doveva misurarsi con chiese parallele, anche se non in rottura consumata, Francesco con la sapienza di un illetterato docile allo Spirito santo intravede che c’è un legame indistruttibile tra Parola di Dio, sacramenti e ministero e vede con intelligenza che questo legame non può essere autenticamente vissuto fuori, accanto alla chiesa reale. È questo che gli impone un amore di comunione, un rispetto delle strutture essenziali e gli vieta di esprimere giudizi duri, senza appello sulla chiesa nonostante non fosse cieco di fronte alle deformazioni dell'evangelo. Egli non sceglie né la protesta né la formazione di un gruppo, di un movimento autosufficiente rispetto alla chiesa del suo tempo».[28]
Francesco fa la scelta di stare nella chiesa, in quella chiesa, e nel Testamento di Siena, insieme all'amore vicendevole e all'osservanza della santa povertà, chiederà ai suoi frati «in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento» (Test 3: FF 133) che «sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa» (5: FF 135). E nel Testamento del 1226 scriverà così: «Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli in questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare il loro peccato, perché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri» (2Test 6-10: FF 112-113).
È quello che si può vedere nell'affresco della chiesa superiore dove a uno sguardo attendo non sfugge il fatto che Francesco stia sostenendo il Laterano standoci dentro: i piedi piantati non – come logica vorrebbe – su un solido appoggio esterno, ma sul pavimento del portico, inclinato come il resto dell’edificio cadente. Così è l’uomo libero: colui che di fronte alle difficoltà e alla fatiche, di fronte ai rischi che la vita comporta, di fronte agli inevitabili fallimenti e alle umiliazioni che questi comportano, smette di fuggire, di rifugiarsi nei suoi sogni, nelle idealizzazioni, alla ricerca di qualcos'altro, di qualcosa magari di perfetto, di qualcosa che lo rassicuri, che gli dia sicurezza. Smette di scappare e accetta di guardare in faccia la realtà riconoscendola, pur in tutta la sua drammaticità, come un’occasione, un’opportunità. Così è Francesco che nell'esperienza di sentirsi guardato e amato da Dio per quello che è impara a guardare gli altri e tutte le creature allo stesso modo.
E quale sia lo stile con cui Francesco vuole rimanere in ecclesia viene immediatamente chiarito nell'affresco che segue, dove, l’approvazione orale del propositum vitae da parte di papa Innocenzo III, lascia il posto alla consegna della Regola confermata il 29 novembre 1223 da papa Onorio III.
Un testo giuridico, ma che lo stesso Francesco amava definire «libro della vita, speranza di salvezza, midollo del Vangelo, via della perfezione, chiave del paradiso, patto di eterna alleanza» (2Cel 208: FF 797). E dopo il riferimento al Vangelo, Regola e vita dei Frati Minori, il testo continua così: «Frate Francesco promette obbedienza e riverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana» (Rb I,2: FF 76; cf. Rnb Prologo,3: FF 3), e così si conclude: «Inoltre ingiungo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor papa uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità, affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabiliti nella fede cattolica, osservino la povertà e l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso» (XII,3-4: FF 108-109).
E l’affresco sempre sembra dire proprio così.
Rimane una domanda a cui rispondere: come è avvenuta in Francesco questa trasformazione? come è potuto passare dalla schiavitù alla libertà, dalla disobbedienza all'obbedienza? Ancora una volta sono gli affreschi a suggerirci una risposta.
Già notavamo come, nel raccontare l’omaggio dell’uomo semplice, san Bonaventura sembra far riferimento all'ingresso di Gesù a Gerusalemme, quando «la folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami degli alberi e li stendevano sulla strada» (Mt 21,8). Si tratta di un episodio spesso rappresentato nei cicli cristologici della cosiddetta biblia pauperum, e che troviamo anche nel transetto della chiesa inferiore, affrescato da Pietro Lorenzetti, all'inizio della sequenza degli episodi della passione, morte e risurrezione del Signore.
Verrebbe da dire – come del resto è “teologico” che sia – che Francesco raggiunge la libertà, o, meglio, diventa partecipe dalla libertà acquistataci da Cristo, andando dietro a lui, salendo con lui a Gerusalemme per celebrare con lui la Pasqua. La stessa cosa sembra valere per Chiara, la sua pianticella (cf. RsC I,3: FF 2751).
Nell'unico affresco del ciclo in cui compare santa Chiara – quello del compianto di lei e delle sue sorelle sul corpo di Francesco mentre, dopo la morte, viene portato dalla Porziuncola alla chiesa di San Giorgio –, è dipinto un bambino che sale su un ulivo. Tommaso da Celano, nella Vita prima, scrive a proposito che, in quell'occasione, «tutti, munitisi di rami di ulivo e di altri alberi, seguendo insieme in solenne corteo le sacre reliquie, procedevano cantando a piena voce inni di lode al Signore, nello splendore di innumerevoli fiaccole» (116: FF 523).[29] Ma la figura di quel bambino sembra anch'essa presa dall'iconografia dell’ingresso a Gerusalemme,[30] quasi a voler sottolineare come anche il cammino di Chiara avvenne andando dietro a Cristo, che entra nella città santa per dare compimento alla sua missione redentrice. Del resto fu proprio la notte successiva alla domenica delle Palme dell’anno 1211 che ella lasciò furtivamente la casa paterna per raggiungere Francesco, dopo che il giorno precedente «accadde qualcosa che seppe di presagio: mentre tutte le altre [donne] si affrettavano a prendere la palma, Chiara, per modestia, rimane al suo posto, cosicché il vescovo, scendendo i gradini, si porta da lei e le mette in mano la palma» (LegsC 4: FF 3168).
Così scrive san Bonaventura al termine della Leggenda maggiore: «Glòriati dunque, ormai sicuro, nella gloria della croce, o glorioso alfiere di Cristo; tu che, cominciando dalla croce, sei progredito seguendo la regola della croce, e nella croce hai portato a compimento la tua opera. Glòriati ora che, prendendo a testimone la croce, manifesti a tutti i fedeli quanto sei glorioso nel cielo. Ormai ti seguano sicuri coloro che escono dall'Egitto: il legno della croce di Cristo farà dividere davanti a loro il mare ed essi passeranno il deserto, attraverseranno il Giordano della vita mortale e, sorretti dalla mirabile potenza della croce, entreranno nella terra promessa dei viventi. Là ci introduca il vero condottiero e salvatore del popolo, Gesù Cristo crocifisso, per i meriti del suo servo Francesco, a lode del Dio uno e trino, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen» (X,9: FF 1329).
Fine
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Indice
- parte prima: un cavallo da cui scendere
- parte seconda: un cavallo da dirottare
- parte terza: un cavallo di cui liberarsi
Epilogo: nella chiesa dietro a Cristo
Note
[27] Cf. 3Camp 51: FF 1460. Questo sogno di papa Innocenzo III ricorre anche nelle prime biografie di san Domenico Guzman (cf. RAIMONDO SPIAZZI, San Domenico di Guzman. Biografia documentata di un uomo riconosciuto dai suoi contemporanei come "tutto evangelico", Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1999, pp. 169-170), riferito allo stesso fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori.
[28] ENZO BIANCHI, Francesco uomo di Dio, trascrizione a cura della Comunità di Bose non rivista dall'autore di un intervento del 2 ottobre 1982 nella Chiesa Cattedrale di Torino, pp. 7-8.
[29] San Bonaventura nella Leggenda maggiore parla più genericamente di «rami d’albero» (XV,5: FF 1250).
[30] Si veda ad esempio Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova o, nella chiesa inferiore della stessa basilica assisana, Pietro Lorenzetti nel lato meridionale del transetto.
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