Il giorno
24 novembre 1995, nella Sala Romanica del Sacro Convento, il Padre Jose'
Antonio Merino, OFM, Rettore dell'Antoniano in Roma, offriva questa
riflessione nell'ambito di un Seminario di studio, in vista del grande Giubileo
dell'anno 2000.
Il successivo 1° gennaio, il testo che qui di seguito si pubblica veniva offerto - "manoscritto ad uso interno" - ai frati dello stesso Sacro Convento con questa premessa: «La lettura
attenta meditata è invito a trovarci tutti insieme nella gratitudine e nel
servizio attorno a Frate Francesco, nostro Padre e Fratello, e alla città di
Assisi, patria spirituale dei Francescani sparsi nel mondo intero».
Qual è la vocazione di Assisi
Le città
come le persone hanno la loro propria storia e la loro irrinunciabile
vocazione; al contrario saranno una massa anonima e collettività senza senso.
Ogni
città è il risultato del destino di una grande e complessa comunità umana. Ci
sono destini che si possono scegliere e sono frutto ed espressione di una
volontà popolare e storica; e ci sono destini tragici che si impongono
fatalmente a un popolo, come nel caso di Gerusalemme, Hiroshima, Auschwitz,
Berlino, Phnom Penh, ecc. Si può parlare di città cancro, di città tenda, di
città alveari e di città giardino. Ma si può anche parlare di città chiuse, di
città aperte, di città morte e di città vive, di città ombra e di città luce.
Esistono città archeologiche e città profetiche, città cimitero e città che
nascono. Esistono città della cultura e città dell'incultura. Si può vivere in
una città umanizzata e umanizzante, come si può vivere in una città centro di
barbarie. Possiamo visitare città inospitali e città cordiali.
La città
è molto più di un semplice luogo geografico spazialmente delimitato e
architettonicamente definito. È un progetto vitale che fa propri e cerca di
risolvere i conflitti politici, economici, ideologici, urbanistici, ecologici,
religiosi, storici e culturali. La città significa ben più della sua
architettura, del paesaggio e dell'armonia tra costruzioni tecniche e ambiente
circostante. È soprattutto il posto dove si vive e si sviluppa il dramma vitale
di molte persone e famiglie che costituiscono la comunità cittadina.
Una città
che voglia essere originale e fare storia, deve certamente dotarsi di un'etica
e di un'estetica, ma deve soprattutto offrire ai propri abitanti una coscienza
storica e un destino umano e umanizzante. Le città che non hanno saputo o non
hanno potuto trasmettere un progetto vitale autentico si sono ridotte a pura
archeologia, a un museo o ricordo più o meno caduco.
Come
scrive Hegel nelle sue Lezioni sulla
filosofia della storia universale, «nella storia camminiamo tra le rovine
dell'egregio. La storia ci sradica da ciò che c'è di più nobile e bello e che
ci interessa. Le passioni lo hanno fatto soccombere. Tutto sembra passare e
nulla sembra rimanere. Tutto è perituro. Ogni viaggiatore ha sentito questa
melanconia. Chi si è trovato tra le rovine di Cartagine, Palmira, Persepolis o
Roma, senza lasciarsi invadere da considerazioni sulla caducità degli imperi e
degli uomini, nel rimpianto per una vita passata forte e ricca?». Sono tuttavia
poche le città che sono state capaci di rendere di nuovo attuale la categoria
del ringiovanimento, come propone lo stesso filosofo. Questa realtà è resa
possibile solo dalla forza spirituale che le anima. Una di queste città
privilegiate è certamente Assisi, grazie alla forza che hanno avuto alcuni suoi
figli.
Una delle
biografie di Francesco, la Leggenda
perugina, ci descrive la relazione intima che esisteva tra il santo umbro e
la sua città natale. Alla fine dei suoi giorni, già gravemente malato, egli
chiese che lo portassero dal palazzo vescovile, dove aveva trovato rifugio e
cure, alla Porziuncola, culla del suo ordine: «Quando i frati che lo portavano
si trovarono vicini all'ospedale, Francesco disse loro che poggiassero la
barella al suolo, ma girata in modo da avere lo sguardo volto alla città di
Assisi. Egli aveva perduto quasi completamente la vista per la lunga e grave
malattia sofferta agli occhi. Allora si alzò un po' sulla barella e benedisse
Assisi con queste parole: "Signore, credo che questa città sia
stata nei tempi antichi rifugio e dimora di uomini iniqui e malvagi, temuti in
tutte queste regioni. Ma grazie alla tua immensa misericordia, nel tempo a te
gradito, vedo che hai mostrato la sovrabbondanza della tua bontà, cosicché la
città si è trasformata in rifugio e dimora di coloro che ti conoscono,
glorificano il tuo nome e propagano il profumo di una vita santa, di una buona
dottrina e di una buona fama in tutto il popolo cristiano". Parole profetiche,
che anticipavano il futuro luminoso di una città disconosciuta».
Francesco
rappresenta la parola, Chiara il silenzio; Francesco l'azione, Chiara la
contemplazione; Francesco si trasforma in messaggio di pace, Chiara in fermento
di unità; Francesco è la stessa trasparenza, Chiara la luce. Francesco palesa
l'animus creatore, Chiara l'anima feconda; Francesco è il grande specialista di
Dio, Chiara la testimone gioiosa dell'«unico necessario». Due personaggi, due
vite, due biografie che si sono incontrate in uno stesso destino: quello di
rendere dimostrabile l'utopia difficile ma possibile dell'animus e dell'anima,
legate insieme dalla forza di Dio e dalla luce del vangelo di Cristo. Francesco
e Chiara, figli biologici di una città, diventano padre e madre fecondi di
questa stessa città. Tra l'Assisi che precede e quella che segue Francesco e
Chiara c'è una grande rottura, una virata storica, che genera un'anima diversa,
una nuova soggettività, un nuovo orizzonte spirituale.
Forse
proprio in questa città, come in nessun'altra, il destino di un popolo si è
identificato con la biografia di uno dei suoi figli. Acutamente Heinrich Böll
scrive che forse in nessun'altra parte del mondo, come ad Assisi, «un uomo e un
luogo si sono incontrati così intimamente da finire per identificarsi». Per
questo la moltitudine di visitatori di Assisi percorre necessariamente i luoghi
legati alla biografia di Francesco e di Chiara: San Damiano, Santa Maria degli
Angeli, le Carceri, il Sacro Convento, Santa Chiara, ecc. E lasciando la città,
tutti possono portare con sé il messaggio del figlio di Pietro Bernardone:
pace, fraternità, per-dono, rispetto della natura e di ogni essere, gioia,
speranza, voglia di vivere, sentimento che la religione autentica è un modo
privilegiato di umanizzazione.
Francesco
ha parlato un linguaggio che tutti possono capire: è il linguaggio dei fatti,
della sincerità, della trasparenza, del servizio disinteressato e della fiducia
nell'altro. Francesco è agli antipodi dei detrattori e dei distruttori
dell'umanità. La sua visione dell'uomo e del mondo è radicalmente e
appassionatamente positiva. Egli è uno dei rappresentanti più validi
dell'affermazione dei valori dell'uomo e della vita. Sta qui la ragione più
vigorosa per poter costruire una nuova città. Solo una fiducia incrollabile
negli altri rende possibile la convivenza. Io comprendo e giustifico i motivi
di André Gluckmann, quando afferma, accomodando Cartesio, che «esistere
democraticamente è dubitare gli uni degli altri»; ma ben più mi convince la
tesi francescana che si potrebbe riassumere come segue: esistere
democraticamente è confidare e sperare gli uni negli altri, vivere gli uni per
gli altri. Così si raggiunge la convivenza umana fra tutti gli abitanti di un
popolo. Solo un'idea elevata dell'uomo e della vita è in grado di creare eroismi
e sacrifici in favore della comunità cittadina. Solo una visione ampia e
profonda dell'uomo e della storia rende possibile e forte la vera democrazia.
Forse uno dei comportamenti più singolari di Francesco, non abbastanza
sottolineato, è la sua capacità di scoprire valori in tutte le persone e la sua
capacità di ammirazione.
La
grandezza di una personalità, singola o comunitaria, sta nel rapporto diretto
all'apertura e al rispetto che ha per l'intera realtà, in ragione inversa agli
interessi particolari ed egoistici.
Già
Dante, nel secolo XIII, disse di Francesco che con lui «nacque al mondo un
sole»; un sole che da allora non ha lasciato di illuminare e di attrarre. In
questo nostro secolo il fondatore della fenomenologia dei valori, Max Scheler,
scrive dell'Assisiense che fu «uno dei maggiori scultori dell'anima e dello
spirito della storia europea», in quanto seppe armonizzare e pacificare in modo
singolare l'amore di Dio, l'amore per gli uomini e l'amore per la natura.
Francesco rappresenta una affermazione energica della cultura della vita e la
contrapposizione più radicale alla cultura della morte e della violenza
disumanizzante, in qualunque sua manifestazione.
Grazie
allo spirito profondamente umano e universale del Poverello, la sua città
natale è uno dei luoghi più visitati e più suggestivi dei nostri giorni. Assisi
soggioga e attrae, muove e commuove. Si presenta come un progetto e come un
simbolo. E un programma vivo di atteggiamento religioso, di speranza, di pace e
di riconciliazione, di fraternità e di rispetto per la natura.
Assisi,
città bellicosa in altri tempi, rivale dei popoli vicini, murata e chiusa in se
stessa, si è trasformata in città aperta e senza frontiere. Città antica, è
diventata città del futuro. Piccola e quasi sperduta nel cuore dell'Italia, è
arrivata ad essere uno dei luoghi spiritualmente più spaziosi del mondo intero.
E tutto questo grazie alla capacità prodigiosa di un uomo che non è stato né un
teologo o un filosofo, né un giurista, né uno psicologo, né un politico, e neppure
un uomo importante di Chiesa, ma una persona semplice, un uomo del popolo,
profondamente umano, che ha preso sul serio Dio, gli uomini e la natura, e che
ha incarnato semplicemente, senza pretese di protagonismo, l'utopia del
vangelo di Gesù Cristo.
Tutto
questo spiega la grande attrattiva spirituale che Assisi ha su credenti e non
credenti, giovani e adulti, scienziati e popolani, umanisti, letterati,
artisti, difensori dei diritti dell'uomo, della vita e della natura. Verso
Assisi si incamminano grandi, medi, piccoli, minimi gruppi di persone, e
singole persone la visitano abitualmente. Assisi incide sul loro spirito e
sulla stessa cittadinanza, come nel caso del poeta svedese Joergensen, che ha
voluto cambiare la sua condizione di «pellegrino abituale» in quella di «figlio
adottivo». Assisi è storia, fa storia e anticipa la storia. E la causa del
fenomeno è che vi è in essa una presenza che parla un linguaggio che tutti gli
uomini possono capire e che tutti apprezzano.
La città
di Francesco e di Chiara ha il raro privilegio di trasmettere pace, speranza,
serenità, silenzio, gioia e voglia di vivere a chiunque la visiti. È una delle
poche città che non solo affascina il visitatore, ma è capace di umanizzarlo.
Generalmente il pellegrino che arriva ad Assisi non è più lo stesso di prima
quando lascia la città, poiché il recinto assisiense è dotato del dono eccezionale
di cambiare in meglio, almeno nelle intenzioni, coloro che in qualche modo ne
vivono.
Da molto
tempo la città umbra è stata un intenso centro di spiritualità, di convivenza,
di riflessione e di incontri spirituali molteplici. Ma ultimamente ha avuto un
potenziamento enorme. Non è il caso, qui, di fare il racconto o l'inventario
delle sue manifestazioni ed espressioni di dinamismo e creatività.
Se «ogni
fatto è già una teoria», per dirla con Goethe, si dovrà concludere che i fatti
offerti dalla città di Assisi costituiscono una teoria comprovata, una visione
e un'interpretazione della vita umana e del modo di abitare nel mondo. Questa
città, in altri tempi chiusa nelle sue mura e guerriera, ha spalancato le sue
porte e ha allargato le sue braccia a tutte le altre città del mondo, per
portare un messaggio di fraternità. E questo grazie all'esperienza di uno dei
suoi figli, che ha incarnato la rara virtù chiamata magnanimità.
Assisi,
più che una città, è un continente; più che un comune, è un mondo; più che un
popolo, è un movimento spirituale. È una città che ci proietta nella
trascendenza, ricordandoci che «non abbiamo qui la nostra città permanente, ma
siamo protesi verso quella futura». Appunto l'amore, la speranza e la fede,
nella città futura sono la presenza e la garanzia di un amore e di un impegno
sinceri per la città presente e temporale.
Se le
città antiche erano circondate di mura per difendersi dai nemici esterni, le
città moderne devono aprirsi all'esterno e ampliare i propri orizzonti e allargare
le loro braccia, simboleggiate in programmi, piani e progetti di sviluppo non
solo materiali ma anche culturali e spirituali. La città-messaggio, umanizzata
e umanizzante, deve avere il coraggio di creare progetti audaci di convivenza,
armonia, promozione umana, giustizia e pace, non solo per i propri abitanti ma
per tutti coloro che la visitano.
La vera
pace si può costruire in modo profondo e duraturo solo andando alle radici, con
sincerità e volontà di servizio. E queste radici sono Dio quale creatore della
vita, la vita come grande dono e orizzonte delle possibilità umane, l'uomo come
Come
esiste un Volksgeist, o spirito del
popolo, così esiste uno Stadtsgeist,
o spirito della città. Ogni città ha bisogno di incontrarsi con la propria anima
vitale, che costituisce la sintesi dialettica dei fattori complessi che la compongono,
delle funzioni spesso conflittuali che la condizionano. Una città che rispetti
i diritti umani e promuova nei suoi cittadini la partecipazione, la libertà, la
giustizia, la bontà, la fantasia, il rispetto e la giovialità sta certamente
costruendo quel mondo pacifico e fraterno di cui abbiamo tanto bisogno.
La città
ha indubbiamente un volto geografico, ecologico ed estetico, ma ha pure un
volto metafisico, antropologico e spirituale. È certamente necessaria
un'architettura razionale ed esteticamente concepita della città, che si
accompagni a un grande rispetto e promozione dello stesso ambiente. Ma il
valore e la missione di una città risiedono fondamentalmente nella capacità che
essa ha di umanizzare il cuore e lo spirito dei suoi abitanti e di influire
positivamente sui suoi visitatori. La città del futuro dovrà creare una nuova
alleanza dell'uomo con l'uomo, dell'uomo con la natura, dell'uomo con la
tecnica, dell'uomo con la religione.
La pace
duratura sarà possibile solo attraverso la forza dello spirito, perché solo lo
spirito è immortale. E lo spirito si tiene vivo solo mediante la speranza. Però
solo una speranza che dia credito agli altri e non deluda le speranze degli
altri potrà costruire una civiltà dal volto veramente umano.
Un grave
problema delle città, che tocca tante persone, è la mancanza di alloggi. Ma
esiste un problema ancor più profondo e drammatico che raggiunge un numero
ancor maggiore di cittadini: ed è il non sapere o non poter abitare, perché le condizioni psicologiche, umane e ambientali non favoriscono o non permettono nei centri urbani le istanze di vera umanità.
Se il
simbolo «fa pensare», come scrive P. Ricoeur, la città-simbolo che è Assisi non
solo fa pensare, ma invita e sospinge le altre città a operare per una programmazione
razionale e umanizzata che crei le condizioni di possibilità perché i loro stessi
abitanti siano cittadini-fratelli e collaborino con le altre città alla
costruzione di un mondo più accogliente, fraterno e gioioso.
«La città
è la gente», diceva Sofocle più di duemila anni fa. E sant'Agostino scriveva
che la città non consiste «nelle pietre ma nei cittadini», che inevitabilmente
sono fonte di armonia o di disarmonia secondo gli odi o gli amori da cui sono
animati. La città dev'essere un cammino che porta ad altro luogo, a una civiltà
planetaria, a una «ecumenopoli», secondo l'espressione di Toynbee, o a una
«città-mondo», come la chiama Mumford. Sulle basi di Assisi, città-simbolo, si
devono ripensare tutte le altre città europee, per costruire un'Europa nuova,
ringiovanita attraverso tutte le sue città. E modellando un continente europeo
armonioso, in pace e veramente umanizzato si potrà portare anche agli altri
continenti il messaggio universale di libertà, di pace, di giustizia e di
fraternità. Così renderemo possibile quella città-mondo nella quale tutti ci
sentiamo francescanamente accolti, difesi e protetti. Allora cominceremo
realmente ad abitare come fratelli e amici, e non come rivali o nemici.
Assisi
non può perdere la sua originalità perché essa è differente di tutte le altre
città in quanto è stata convertita in simbolo e in categoria universale. Per
ciò deve riscoprire e riattualizzare la sua propria "anima", il suo
proprio "spirito" e la sua propria "soggettività" che sono
le stesse dei suoi figli eccezionali: Francesco e Chiara, i quali di cittadini
di questa città si sono trasformati in cittadini universali. Qui risiede il suo
destino, la sua storia, la sua vocazione. Così da questa città-simbolo si potrà
offrire una cultura e una civiltà della pace e della fratellanza universale
affinché la tragica definizione del "homo homini lupus" sia
trasformata nella desiderata realtà del "homo homini frater". Di
questa maniera le città saranno finalmente le nostre grandi dimore.
Assisi, 24 novembre 1995
José Antonio Merino
Francescano
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento